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LEGITTIMARIO, DONAZIONE E RINUNCIA ALL’EREDITA’

Il legittimario, che rinuncia all’eredità, può ritenere le donazioni del de cuius, anche se c’è

rappresentazione

La norma che andremo esaminare è quella di cui all'articolo 552 del codice civile in materia di donazioni e legati in conto di legittima il quale dispone che “Il  legittimario  che  rinunzia  all'eredita',  quando  non  si  ha rappresentazione, puo' sulla  disponibile  ritenere  le  donazioni  o conseguire i legati a lui fatti; ma quando non vi e'  stata  espressa dispensa dall'imputazione, se per integrare  la  legittima  spettante agli eredi e' necessario ridurre le disposizioni testamentarie  o  le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal  testatore  sulla disponibile,  che  non  sarebbero  soggette   a   riduzione   se   il legittimario accettasse l'eredita', e si riducono le  donazioni  e  i legati fatti a quest'ultimo.

Chi rinuncia all'eredità, può, pertanto, trattenere le donazioni e i legati fatti dal de cuius. Tali disposizioni vanno a gravare sulla disponibile, a meno che non vi sia stata la dispensa dall'imputazione di cui all'art. 564 del c.c. Ove operi la rappresentazione, la norma in commento non opera in quanto l'eredità si devolve ai discendenti del rinunziante.

Dalla rinuncia all'eredità del legittimario che trattenga le disposizioni a lui fatte a titolo di legato o donazione può conseguire una diminuzione della disponibile. Ciò può recare danno ad ulteriori beneficiati che non siano legittimari, i quali possono agire in riduzione sulle donazioni e i legati del legittimario rinunziante.

Al fine di far comprendere, facciamo un esmepio: Tizio muore, lasciando due figli Caio (che ha ricevuto dal padre una donazione di 400) e Sempronio. Il de cuius, il cui patrimonio ereditario è pari a 900, dispone in favore dell'amica Mevia un lascito ereditario di 180.
Se Caio e Sempronio accettano l'eredità, al secondo spetta 300 (1/3 del relictum pari a 900), mentre Caio deve imputare alla porzione legittima spettantegli (300) quanto ricevuto in donazione (400) ai sensi dell'art.564 c.c., sia nei confronti del coerede legittimario, sia in riferimento all'erede non legittimario contro il quale non può dunque agire in riduzione. Caio, dopo aver ritenuto 400 a titolo donativo, può conseguire ulteriori 20, mentre a Mevia spetta il residuo 180.

Diversamente accade qualora Caio rinunci all'eredità. La quota di disponibile è pari a 450 (ossia 1/2 del relictum di 900). Posto che su tale disponibile grava la donazione fatta a Caio (400), la disposizione in favore di Mevia (180) rischia di essere pregiudicata, essendo la disponibile pari a 50 (ossia la disponibile di 450 - la donazione fatta a Caio di 400). In presenza di tale situazione si applica la norma in commento: la donazione fatta al legittimario rinunziante viene ridotta per reintegrare l'erede non legittimario nella sua quota. Quindi la porzione di Mevia, pari a 180, viene così ricavata: 50 dalla disponibile ancora libera, gli ulteriori 130 dalla riduzione della donazione fatta a Caio. A questi spetta 270 (400 - 130), a Sempronio 450.

La ratio legis della norma in commento è quella di tutelare la posizione degli eredi non legittimari, i cui lasciti gravano sulla disponibile, e rispettata, per quanto possibile, la volontà del testatore che, in assenza di dispensa dall'imputazione in favore del legittimario, presumibilmente voleva che le donazioni e i legati fatti a quest'ultimo gravassero sulla sua quota di legittima.

In tale ambito si segnala la sentenza della Cassazione dell’11 maggio 2023, n. 12813 la quale ha precisato che  ai sensi dell’art. 552 c.c. il legittimario che rinuncia all’eredità ha diritto di ritenere le donazioni o di conseguire i legati a lui fatti, anche nel caso in cui operi la rappresentazione, senza che i beni oggetto dei legati o delle donazioni si trasmettano ai rappresentanti, fermo restando, però, l’onere di questi ultimi di dover imputare le stesse disposizioni alla quota di legittima nella quale subentrano iure repraesentationis.

Il caso trae origine dai seguenti fatti D.B. P. evocava in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari – Sezione distaccata di Rutigliano, il fratello G. per procedere alla divisione di alcuni beni in comunione, in quanto oggetto di donazione in favore di entrambi da parte del genitore, con l’imputazione alla massa delle rendite prodotte e dei frutti derivanti dal godimento esclusivo.

Evidenziava che il bene comune era un compendio immobiliare in Monopoli, composto da capannone industriale, per l’attività di produzione ed imbottigliamento di olio, da un fabbricato a tre piani adibito ad ufficio, da un silos e da due fabbricati di cui uno adibito a deposito e l’altro a garage. Inoltre, era in comunione, per la quota di 7/10 in capo all’attore e di 3/10 in capo al convenuto, un fondo rustico sito in Conversano.

Il Tribunale dichiarava lo scioglimento della comunione, assegnando la quota n. 1 all’attore e la quota n. 2 al convenuto, rigettando le altre domande proposte.

La Corte d’Appello di Bari ha rigettato il ricorso principale e, in accoglimento di quello incidentale, ha affermato che la G. vantava sui beni un diritto di abitazione e non di usufrutto.

Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso D.B. G. sulla base di quattro motivi.

La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha osservato che Il complesso delle censure pone all’attenzione della Corte la questione, a quanto consta, non ancora espressamente affrontata dalla giurisprudenza, della corretta esegesi del secondo comma dell’art. 552 c.c.

La norma prevede che il legittimario che rinunzia all'eredità, quando non si ha rappresentazione, può sulla disponibile ritenere le donazioni o conseguire i legati a lui fatti; ma quando non vi è stata espressa dispensa dall'imputazione, se per integrare la legittima spettante agli eredi è necessario ridurre le disposizioni testamentarie o le donazioni, restano salve le assegnazioni, fatte dal testatore sulla disponibile, che non sarebbero soggette a riduzione se il legittimario accettasse l'eredità, e si riducono le donazioni e i legati fatti a questo ultimo.

La disposizione, che completa quanto già disposto dall’art. 521 c.c., mira, secondo la prevalente opinione dottrinale, a sanzionare il legittimario che, avendo già ricevuto delle donazioni in vita non dispensate da imputazione, e quindi naturalmente in conto di legittima, preferisce rinunciare all’eredità, determinando in tal modo un aggravio della posizione degli altri legittimari, e ponendo potenzialmente in pericolo, ai fini della riduzione, le donazioni ovvero le altre disposizioni mortis causa, che, ove invece avesse accettato, sarebbero state immuni dalla riduzione, in quanto gravanti sulla disponibile.

In questo caso il legislatore prevede che le pretese degli altri legittimari debbano essere indirizzate proprio nei confronti delle disposizioni che il rinunciante intendeva ritenere con la propria scelta, mettendo al riparo quelle altre donazioni o legati che invece sarebbero gravate sulla disponibile, ove vi fosse stata accettazione. La norma però pone un dubbio interpretativo nell’ipotesi in cui, per effetto della rinuncia, operi il meccanismo della rappresentazione con il subentro dei discendenti in luogo del rinunciante. Occorre, infatti, anche tenere conto dell’ulteriore previsione di cui al terzo comma dell’art. 564 c.c. che prevede che il legittimario che subentra per rappresentazione debba imputare alla propria quota di riserva le donazioni ed i legati dispensati da imputazione fatti al proprio ascendente.

Se l’avvenuta rinuncia all’eredità da parte degli originari donatari esclude che possa dibattersi per loro di collazione, mancando l’attuale qualità di coeredi in capo ai medesimi, parte della dottrina, richiamata in ricorso, ritiene che l’insieme delle norme determinerebbe delle conseguenze inique a carico dei rappresentanti, i quali, pur non avendo tratto alcun beneficio dalle donazioni ricevute dal loro ascendente, dovrebbero comunque imputarle alla loro quota nel momento in cui agissero in riduzione (nonché a portarle in collazione ai sensi dell’art. 740 c.c.).

Al fine, quindi, di rendere tollerabile tale apparente iniquità, alcuni autori hanno sostenuto che l’inciso contenuto nell’art. 552 c.c., con il riferimento alla rappresentazione, comporterebbe che la possibilità per il donatario di ritenere le donazioni in caso di rinuncia varrebbe solo in assenza di rappresentazione, ma laddove operi anche questo istituto, quanto ricevuto per donazione si trasmetterebbe automaticamente a favore dei rappresentanti.

Ritiene la Corte che debba invece aderirsi all’opinione della prevalente dottrina che, senza prevedere un subentro dei rappresentanti in luogo del rappresentato (conclusione questa che porrebbe evidentemente anche profili problematici quanto alla tutela dell’eventuale terzo acquirente dal donatario, in assenza di adeguate forme di pubblicità che consentano di avvedersi del mutamento di titolarità dei beni), reputa che la norma contempli in ogni caso il diritto del donatario di ritenere i beni oggetto della donazione che, in assenza di rappresentazione, gravano in ogni caso sulla disponibile.

Ove invece si verifichi il subentro dei discendenti del rinunciante, le stesse donazioni e legati vanno invece fatti gravare sull’indisponibile e quindi sulla quota di legittima, nella quale sono subentrati i rappresentanti, che per effetto tale previsione sono appunto tenuti a procederne all’imputazione. Inoltre, non sussiste alcun profilo di iniquità in quanto la norma si pone in maniera coerente rispetto al principio secondo cui la divisione avviene per stirpi, e con la regola per cui ad una data stirpe, ancorché a seguito dell’operatività della rappresentazione, non può essere attribuito più di quanto sarebbe spettato al capostipite.

In assenza, infatti, di una norma che appunto disponga l’onere di imputazione delle donazioni fatte all’ascendente anche al rappresentante, si potrebbero perpetrare delle iniquità in danno degli altri soggetti convolti nella successione, in quanto il rappresentato potrebbe rinunciare all’eredità (ritenendo, quindi, le donazioni), ed i rappresentanti potrebbero far valere per intero la quota di legittima che sarebbe spettata al loro ascendente, senza che si debba tenere conto di quanto già ricevuto da quest’ultimo in conto di legittima (in tal senso, e cioè di ritenere tale norma intesa alla tutela dei terzi e delle aspettative già consolidate.

Avv. Alfredo Bonanni