logo-trasp
Occupazione senza titolo e tutela risarcitoria. Sezioni Unite 2022.

LA TUTELA RISARCITORIA NEI CASI DI OCCUPAZIONE SINE TITULO ALLA LUCE DELLA SENTENZA N. 33645/2022 DELLE SEZIONI UNITE DELLA CORTE DI CASSAZIONE

Preliminarmente, al fine di fornire una cornice entro cui sviluppare la disamina, appare utile rammentare che il diritto di proprietà, sancito dall’articolo 832 c.c., riconosce al proprietario il diritto di godere e di disporre della cosa in modo pieno ed esclusivo a cui corrisponde un generale dovere, dei consociati non proprietari, di astenersi dal porre in essere turbative che possano ostacolarlo nell’esercizio del proprio diritto.

A tal proposito, peraltro, l’ordinamento riconosce delle azioni a difesa del diritto di proprietà tra le quali si annovera l’azione di rivendicazione, di cui all’articolo 948 c.c., che consente al proprietario di agire al fine di recuperare la cosa illegittimamente posseduta o detenuta da altri, facendo valere il proprio diritto di proprietà. Trattasi di tutela reale orientata al futuro e finalizzata al ripristino dell’ordine formale violato mediante l’accertamento dello stato di fatto contrario al diritto soggettivo.

Nelle ipotesi di occupazioni sine titulo, analoghe al caso in esame, si pone il problema – rispetto alla tutela risarcitoria, orientata al passato e costituente il rimedio per la perdita subita- di valutare se la compressione della facoltà di godimento, costituente il contenuto del diritto di proprietà, debba considerarsi danno patrimoniale da risarcire ai sensi del combinato disposto degli articoli 1223 c.c. e 2056 c.c.

Tale ultimo aspetto è stato oggetto di un animato dibattito tra la seconda e la terza sezione della Corte di cassazione relativo proprio alla perdita subita dal proprietario per il fatto di non aver potuto godere, anche ipoteticamente, del proprio bene.

Precisamente, il primo orientamento perseguiva la tesi del cd “danno in re ipsa”, di matrice tedesca, sulla scorta del quale l’oggetto del danno coincideva con il contenuto del diritto violato e dunque, sussisteva pregiudizio per il solo fatto della violazione posta in essere.

In particolare, la seconda sezione sosteneva che l’impedimento ad ottenere dal bene, abusivamente occupato, l’utilità diretta che lo stesso offre, non avrebbe dovuto richiedere alcuna prova ulteriore rispetto a quella del fatto generatore del danno in quanto il godimento diretto si sarebbe potuto esaurire in un utilizzo saltuario o temporaneo del bene ovvero nella mera potenzialità di fruizione. Di talché, la perdita temporanea del bene nonché del suo valore di scambio sarebbe stato suscettibile di risarcimento anche nei casi in cui non si fosse provato in che modo il proprietario avrebbe utilizzato di tale disponibilità e la prova dell’impedimento al godimento del fondo (danno conseguenza) si sarebbe esaurita con l’occupazione del fondo stesso. Il proprietario avrebbe dovuto eseguire uno sforzo probatorio maggiore soltanto qualora avesse allegato il danno da mancato guadagno, dovendo offrire la prova delle specifiche occasioni di guadagno perdute.

L’opposto orientamento, invece, si ispirava alla teoria casuale del danno, in virtù della quale il pregiudizio risarcibile non derivava dalla lesione della situazione giuridica bensì dal danno conseguenza scaturito dall’evento di danno corrispondente alla detta lesione e dunque richiedeva un nesso di causalità tra il danno e il pregiudizio subito e la conseguente necessità di allegarlo e provarlo.

In sostanza, la terza sezione della Suprema Corte concepiva il “danno in re ipsa” di cui sopra come un danno punitivo, senza alcun riconoscimento legislativo, avendo potuto il soggetto ottenere un risarcimento anche quando, in concreto, non avesse subito un pregiudizio laddove, invece, ciò che avrebbe dovuto rilevare era il danno conseguenza. Dunque, anche se provato mediante presunzioni semplici, nella visione della terza sezione, non poteva concepirsi un alleggerimento dell’onere probatorio che includesse l’esonero dalla allegazione dei fatti e quindi dell’intenzione concreta del proprietario di mettere l’immobile a frutto.

Tale contrasto è stato recentemente risolto dalle sezioni unite della Suprema Corte le quali hanno riconosciuto quale fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita, la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento diretto o indiretto mediante la concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che è andata perduta.

Gli Ermellini, dopo aver delimitato il perimetro della questione escludendo la problematica della prova del danno da mancato guadagno, essendo pacifica -anche per i sostenitori della tesi del danno in re ipsa- la necessità di allegarlo e provarlo finanche ricorrendo a presunzioni semplici, chiariscono che il fulcro della questione, nonché della divergenza tra i due orientamenti, è la possibilità di individuare l’esistenza di un danno risarcibile per il solo fatto che il proprietario sia stato privato della facoltà di godere del proprio bene a causa di una occupazione abusiva dell’oggetto del proprio diritto.

Orbene, la Corte, aderendo agli approdi della seconda sezione, ha risposto affermativamente a tale quesito, sostituendo la locuzione di danno “in re ipsa” con quella di danno presunto o danno normale e privilegiando, dunque, la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze da cui desumere il pregiudizio allegato.

Nello specifico, le Sezioni unite, nel comporre il conflitto creatosi in materia di occupazione illegittima di un bene immobile, hanno elaborato una tesi in cui convivono sia la teoria normativa del danno sia quella della causalità e che, di fatto, richiede la prova non solo del mero evento di danno inteso quale nesso di causalità materiale bensì anche delle conseguenze pregiudizievoli e cioè del nesso di causalità giuridica.

Certamente, tali principi hanno una ricaduta diretta sul piano processuale in quanto il ragionamento della Corte attribuisce particolare rilievo al contegno processuale del convenuto e alla valorizzazione della non contestazione del fatto costitutivo.

In definitiva, il danno da occupazione sine titulo è risarcibile qualora sia provato che dalla violazione del contenuto del diritto di proprietà, per tale intendendosi il potere di godere e disporre in modo pieno ed esclusivo della cosa, ne sia derivata una conseguenza pregiudizievole che nell’ottica degli Ermellini si identifica nella perdita del godimento. Pertanto, si riterrà sufficiente, per l’attore, allegare la perdita -laddove il convenuto nulla eccepisca- potendosi considerare pacifico il danno poiché normale conseguenza della altrui condotta illecita; sarà necessaria la prova dello specifico godimento perduto laddove, invece, il convenuto eccepisca in maniera specifica che il proprietario non abbia esercitato il diritto disinteressandosi del godimento del bene.

Per quanto riguarda il danno da mancato guadagno, invece, le sezioni unite della Corte di cassazione, hanno confermato che, per una sua risarcibilità, il proprietario è gravato dall’onere probatorio di dimostrare che, in mancanza dell’occupazione abusiva, avrebbe potuto concedere il godimento dell’immobile a terzi ad un canone superiore rispetto a quello ordinario di mercato ovvero che avrebbe potuto venderlo ad un prezzo maggiore rispetto al valore di mercato.

In conclusione la Corte, in merito al tema in parola così profondamente dibattuto, è arrivata ad elaborare i seguenti principi di diritto: nel caso di una occupazione di un bene immobile operato da un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da perdita subita è la concreta possibilità di esercizio del diritto di godimento, diretto o indiretto, mediante la concessione del godimento ad altri dietro corrispettivo, che non si è potuta verificare.

Nell’ipotesi di una occupazione sine titulo di un bene immobile da parte di un terzo, laddove il danno da perdita subita di cui il proprietario intende essere ristorato non può essere provato nel suo specifico ammontare, esso viene liquidato dal giudice con valutazione equitativa tenendo conto del canone locativo di mercato.

Da ultimo, nell’ipotesi di una occupazione senza titolo di un bene immobile da parte di un terzo, il fatto costitutivo del diritto del proprietario al risarcimento del danno da mancato guadagno è il pregiudizio subito e dunque quello che, in mancanza della occupazione medesima, avrebbe ottenuto concedendo il bene in locazione ad altri verso un corrispettivo superiore al canone locativo di mercato o vendendolo ad un prezzo più conveniente rispetto a quello di mercato (Cfr., Cass. Sez. Un., 15/11/2022, n. 33645).

Dott.ssa Miriana Martoni