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572 c.p. e presenza del minore. Cass. 21024/2022

L’attuale art. 572 del c.p., Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da tre a sette anni. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità come definita ai sensi dell’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero se il fatto è commesso con armi. [comma 3 abrogato]. Se dal fatto deriva una lesione personale grave, si applica la reclusione da quattro a nove anni; se ne deriva una lesione gravissima, la reclusione da sette a quindici anni; se ne deriva la morte, la reclusione da dodici a ventiquattro anni. Il minore di anni diciotto che assiste ai maltrattamenti di cui al presente articolo si considera persona offesa dal reato, è il risultato di diversi interventi normativi succedutisi nel tempo.

Primo tra tutti la riforma attuata con la L. n. 172/2012, poi la L. n. 119/2013, da ultimo, la fattispecie in esame è stata modificata dalla L. n. 69/2019, c.d. Codice Rosso.

La formulazione dell’attuale disposizione, tuttavia, presenta delle criticità a livello interpretativo, con le quali la giurisprudenza è stata chiamata più volte a confrontarsi.

Il secondo comma dell’art. 572 c.p., riprendendo la formulazione dell’art. 61, n. 11-quinquies c.p., parla di “fatto commesso in presenza o in danno del minore”, mentre nel quinto comma si fa riferimento al “minore che assiste ai maltrattamenti”.

La giurisprudenza antecedente all’entrata in vigore della L. n. 69/2019 (Cass. Penale, sez. I, del 2 marzo 2017 n. 12328), aveva interpretato in senso ampio il concetto di “presenza” ai fini dell’aggravante di cui all’art. 61, n. 11-quinquies c.p., in particolare, per quanto riguarda il concetto di “presenza di minore di anni 18” è stato ritenuto che tale circostanza si configuri tutte le volte che il minore percepisca la commissione del reato ovvero anche quando la sua presenza non sia visibile all’autore del reato, se questi, tuttavia, ne abbia la consapevolezza ovvero avrebbe dovuto averla usando l’ordinaria diligenza.

Non è dunque necessario che il reato sia commesso davanti agli occhi del minore.

Il concetto di “in presenza” non coincide con quello di “cospetto”, sia dal punto di vista materiale (condotta posta in essere al cospetto e dunque davanti agli occhi del minore), sia dal punto di vista soggettivo (consapevolezza da parte dell’autore che il fatto è commesso in presenza del minore).
Precisa infine la Corte che “dal punto di vista dell’elemento psicologico, trattandosi di una circostanza aggravante di tipo oggettivo riguardante la modalità dell’azione a norma dell’art. 70 c.p., la stessa è valutata a carico dell’agente se conosciuta ovvero se ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa, a norma dell’art. 59 c.p.”.

Inoltre, sul tema, i giudici di legittimità (Cass. Penale, sez. I del 6 marzo 2018 n. 22859) confermavano che “l’aggravante è in definitiva configurabile tutte le volte che il minore degli anni diciotto percepisca la commissione del reato, pur non assistendovi direttamente, anche quando la sua presenza non sia visibile all’agente, sempre che costui ne abbia la consapevolezza, ovvero avrebbe dovuto averla usando l’ordinaria diligenza”.

La giurisprudenza, dunque, individuava una dicotomia tra “il minore che percepisce” e il “minore che assiste”, configurando quest’ultima come ipotesi più restrittiva rispetto alla prima.

Se si fosse mantenuto inalterato questo orientamento anche in riferimento ai nuovi commi dell’art. 572 c.p., il minore assumerebbe la qualifica di persona offesa solo nei casi nei quali assista direttamente ai maltrattamenti, e non in tutte le ipotesi in cui si configurerebbe l’aggravante; salvo che non si possa leggere in maniera omogenea il secondo e quinto comma, considerando essenzialmente come sinonimi il concetto di “maltrattamenti commessi in presenza del minore” e “maltrattamenti cui il minore assiste”.

La Cassazione (Cass. Penale, sez. V del 04.01.2021 n. 74), ha tracciato i confini tra violenza assistita o reato aggravato dalla presenza di minori.

La Suprema Corte è giunta a ritenere integrato il reato di maltrattamenti anche nei confronti dei figli anche se la condotta violenta sia stata tenuta solo nei confronti della madre, poiché, lo stato di sofferenza e di umiliazione delle vittime non deve essere necessariamente collegato a specifici comportamenti vessatori posti in essere verso un determinato soggetto passivo ma può derivare anche dal clima generalmente instaurato all’interno di una comunità, conseguenza diretta di atti di sopraffazione, vessazione ed umiliazione.

Tuttavia, precisa la Suprema Corte, ai fini della configurazione del reato di maltrattamenti anche nei confronti della prole, devono tuttavia essere soddisfatti altri requisiti. Innanzitutto è necessario che, in ossequio alla natura abituale del reato, le condotte di violenza siano reiterate nel tempo. Dall’altro lato, occorre che la percezione da parte del minore del clima di oppressione subito da uno dei genitori produca effetti negativi nei processi di crescita morale e sociale della prole, con conseguenze oggettivamente verificabili.

Quest’ultimo aspetto in particolare, è utile a distinguere la “violenza assistita” dalla differente ipotesi in cui il minore, senza subire tale effetto negativo sulla crescita, sia stato solo presente durante la commissione di una delle condotte integranti il reato di cui all’art. 572 c.p.

Alla luce di quanto si è qui significato, la giurisprudenza di legittimità, ha distinto l’ipotesi della “violenza assistita” in cui il minore è vittima del reato ai sensi dell’art. 572 c.p. poiché, seppure non direttamente oggetto della condotta di maltrattamento, ha subito nella crescita l’effetto negativo causato dall’avere appunto assistito a condotte concretanti una situazione abituale di violenza all’interno del proprio nucleo familiare, dalla differente ipotesi in cui il minore, senza subire un tale effetto, sia stato solo presente durante la commissione di una delle condotte integranti il reato di cui all’art. 572 c.p., affermando l’applicabilità, in tale ipotesi, dell’aggravante.

L’opera di chiarificazione della giurisprudenza è andata avanti con una recente sentenza, Cass. Penale, sez. III, del 30 maggio 2022 n. 21024.

La giurisprudenza di legittimità ha chiarito che l’aggravante si configura se il minore percepisca il reato, non essendo richiesto che lo stesso sia commesso davanti ai suoi occhi; ne consegue che si esclude l’applicabilità della stessa a quei casi nei quali il minore sia fisicamente presente, ma non percepisca il verificarsi della condotta delittuosa.

La Suprema Corte, con la sentenza da ultimo cennata, ha espresso la chiara volontà di intendere in chiave estensiva l’aggravante di cui all’art. 572 comma 2,

il fatto commesso in presenza di un minore, soggetto “debole” per definizione, non è certamente privo di un significato offensivo nei confronti del minore medesimo, la cui integrità psichica, nel breve e/o nel lungo periodo, può essere seriamente compromessa dalla diretta percezione di gravi episodi di violenza commessi in ambito familiare: la ratio dell’aggravante, infatti, si correla all’esigenza di elevare la soglia di protezione di soggetti i quali, proprio a cagione dell’incompletezza del loro sviluppo psico-fisico, risultino più sensibili ai riflessi dell’altrui azione aggressiva, specie se commessa da un genitore in danno dell’altro, e possano così rimanerne vulnerati, esito che riflette gli approdi ormai adeguatamente consolidati della scienza psicologica, secondo cui anche bambini molto piccoli sono negativamente influenzati dagli eventi traumatici verificatisi nell’ambiente che li circonda […], non è affatto irragionevole che il Legislatore abbia considerato, nella medesima disposizione, i fatti di maltrattamento commessi “in presenza” o “in danno” di un minore in quanto sono espressione della medesima ratio: la tutela dell’integrità del minore, nelle sue componenti di integrità psichica in un caso, che può essere compromessa quando il minore è spettatore di episodi di violenza in ambito familiare, e di integrità fisica, quando il minore è egli stesso vittima di violenza.

Dott. Edoardo Manucci