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Responsabilità sanitaria: il medico e la struttura. Il consenso informato.

L'art 2236 del codice civile dispone testualmente che “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave”. Pertanto il codice civile, in riferimento alla categoria del prestatore d'opera intellettuale, quale è ad esempio quella del medico, esclude la responsabilità per “colpa lieve”. In sostanza per le prestazioni professionali è richiesta una diligenza qualificata nell'adempimento delle proprie obbligazioni, ovverosia  una conoscenza ed applicazione delle regole tecniche proprie della categoria professionale di appartenenza (diversamente il medico sarebbe stato assoggettato a qualsiasi tipo di risarcimento, anche per una condotta caratterizzata da colpa lieve).

Vi è, pertanto, responsabilità professionale del medico allorquando questi violi o non osservi correttamente le regole di condotta (commissiva o omissiva) proprie dell’agente modello del settore specialistico di riferimento.

In punto di reponsabilità medica, un importante intervento del legislatore si è avuto con la legge 8 marzo 2017, n. 24 cd legge “Gelli-Bianco” la quale ha introdotto un sistema binario della responsabilità civile medica, tanto da differenziare la reponsabilità tra quella del medico e quella della struttura sanitaria (sia essa pubblica che privata). In particolare l’art. 7 di detta legge ha qualificato la responsabilità della struttura ospedaliera quale responsabilità contrattuale, in ragione dell’avvenuta stipulazione del contratto atipico di spedalità, mediante l’acquisizione del consenso, anche implicito, del paziente e, per l’effetto, la struttura risponderà ai sensi degli artt. 1218 e 1228 c.c.; diversamente, la responsabilità del medico diviene extracontrattuale o aquiliana (ex 2043 c.c.), salvo l’ipotesi della sussistenza di un pregresso contratto d’opera professionale stipulato con il paziente.

La responsabilità della struttura sanitaria è disciplinata dal comma 1 dell’art.7: “La struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica o privata che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa, risponde, ai sensi degli articoli 1218 e 1228 del codice civile, delle loro condotte dolose o colpose”. Tale comma sembra essere codificatorio degli orientamenti giurisprudenziali precedenti, confermando, infatti, la natura contrattuale della responsabilità civile della struttura sanitaria.

Ai sensi del comma 3 dello stesso articolo, la disciplina della responsabilità dell’esercente le professioni sanitarie viene, invece, così regolata: “L’esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2, risponde del proprio operato ai sensi dell’art. 2043 del codice civile, salvo abbia agito nell’adempimento di una obbligazione contrattuale assunta con il paziente[…]”.

Pertanto, in sintesi, l’esercente le professioni sanitarie che esercita la propria attività a qualsiasi titolo all’interno della struttura sanitaria, risponderà della propria condotta ex art. 2043; invece la struttura ospedaliera risponderà dei danni cagionati dal medico ex art. 1218, quindi a titolo di responsabilità contrattuale.

Tale regime comporta due importanti differenze in punto di:

- onere probatorio;

- termine prescrizionale.

Il medico risponderà a titolo extracontrattuale della sua condotta e, pertanto, dovrà essere il paziente a dimostrare che l’errore medico ha cagionato il danno (nesso causale tra condotta/omissione del medico e danno al paziente) essendo altresì obbligato a rispettare il termine prescrizionale quinquennale ex art. 2947 c.c. Per quanto invece concerne la responsabilità della struttura sanitaria, di natura contrattuale, l’onere della prova è posto a carico della medesima struttura, dovendo, il paziente, dimostrare solamente la prova del titolo contrattuale e dell’inadempimento; inoltre il termine dell’azione sarà quello ordinario, cioè quello decennale previsto dall’art. 2046 c.c.

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Altro elemento di fondamentale importanza in punto di reponsbailità medica è il consenso informato ed il danno cagionato al paziente da un intervento per il quale questo non è stato acquisito.

Il consenso informato è un diritto del paziente riconosciuto  alla luce degli artt. 2, 13 e 32, comma 2 della Costituzione, oltre che dall' art. 3 della Dichiarazione Universale dei diritti umani. Il consenso del paziente al trattamento medico-chirurgico è espressione della libertà di autodeterminazione del singolo, il quale ai sensi dell’art. 32, comma 2 Cost. ha il diritto di rifiutare le cure, salvo i casi espressamente previsti dalla legge di trattamenti sanitari obbligatori e coperti da riserva assoluta di legge. Ogni individuo, infatti, ha il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonchè delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente al citato articolo 32 della Costituzione comma 2.

Ne consegue l’obbligo del medico “di fornire informazioni dettagliate, in quanto adempimento strettamente strumentale a rendere consapevole il paziente della natura dell'intervento medico e/o chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative”  (Cass 28985/2019)

La legge 219/2017 riccorda che ai fini della liceità dell’intervento medico, è necessario che il consenso sia dato personalmente dal paziente in modo esplicito, che il paziente sia informato dell’esito dell’intervento e delle eventuali conseguenze, per il tramite di moduli standardizzati o per informativa del medico curante e, inoltre, il consenso deve essere attuale, specifico e sempre revocabile.

In mancanza di acquisizione del consenso informato, la giurisprudenza consolidata ha riconosciuto un danno all’autodeterminazione del paziente, che è autonomo e indipendente rispetto al danno alla salute, perché la prima responsabilità deriva dall’inadempimento degli obblighi informativi da parte del medico mentre nella responsabilità del danno occorso alla salute, il fondamento è da ricercarsi nella violazione degli obblighi di protezione e cura del paziente.

Il danno conseguente al mancato consenso informato si sostanzia in un pregiudizio non patrimoniale, ossia la sofferenza interiore e soggettiva di non aver potuto disporre liberamente di sé, come tale risarcibile ai sensi dell’art. 2059 c.c.

La Suprema Corte con la sentenza n. 28988 del 2019  ha stabilito che il paziente, che agisce in giudizio per far valere il danno da mancata acquisizione del consenso informato, ha un duplice onere probatorio:

1) dovrà allegare l’inadempimento del consenso informativo;

2) dovrà provare il proprio rifiuto al trattamento/intervento.

Per il risarcimento dei summenzionati pregiudizi, il paziente dovrà dimostrare la relazione tra evento lesivo del diritto alla autodeterminazione - perfezionatosi con la condotta omissiva violativa dell'obbligo informativo preventivo - e conseguenze pregiudizievoli che da quello derivano secondo un nesso eziologico inteso come causalità giuridica ex art 1223 c.c.

Il concreto, dunque:

a) il fatto positivo da provare è il rifiuto che sarebbe stato opposto dal paziente al medico;

b) il presupposto della domanda risarcitoria è costituito dalla scelta soggettiva del paziente. La distribuzione del relativo onere va individuato in base al criterio della cd. "vicinanza della prova", sicché sarà onere del paziente dimostrarla;

c) il discostamento della scelta del paziente dalla valutazione di necessità/opportunità dell'intervento operata dal medico costituisce eventualità non corrispondente all'"id quod plerumque accidit".

Tale prova, secondo la Suprema Corte, “potrà essere fornita con ogni mezzo, ivi compresi il notorio, le massime di esperienza, le presunzioni, queste ultime fondate, in un rapporto di proporzionalità diretta, sulla gravità delle condizioni di salute del paziente e sul grado di necessarietà dell'operazione”.

Avv. Alfredo Bonanni