Con la legge di bilancio 2023 è stata disposta, a decorrere dal 1° gennaio 2024, l’abolizione del reddito di cittadinanza. In particolare, si è stabilito che “a decorrere dal 1° gennaio 2024 gli articoli da 1 a 13 del decreto-legge 28 gennaio 2019 n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sono abrogati”.
Il legislatore, tuttavia, non si è accorto che abrogando l’intera disciplina del noto e tanto discusso sussidio, ha disposto anche l’abrogazione delle norme incriminatrici previste dall’art. 7, cioè della disciplina dell’indebita percezione del sussidio. Un “pasticcio2 che ha costretto il Governo ad un successivo intervento normativo. Invero, l’art. 13, comma 3, DL n. 48/2023 statuisce che continuano ad applicarsi le sanzioni penali previste dall’art. 7 del DL n. 4/2019 per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. La previsione di cui all’art. 13, comma 3, deroga, di fatto, al principio della retroattività della lex mitior, altrimenti conseguente, ai sensi dell’art. 2 c.p., alla prevista abrogazione dell’art. 7 DL n. 4/2019.
Come si è detto, è evidente che l’abrogazione delle norme sanzionatorie previste dalla disciplina del reddito di cittadinanza, realizzata dalla legge di bilancio 2023, è imputabile ad una svista del legislatore considerato che è del tutto irragionevole abrogare, assieme al reddito di cittadinanza, le norme penali che sanzionano l’indebita percezione di quel sussidio. Ed è ancor più irragionevole farlo con effetto differito al 1° gennaio 2024 con il rischio di veicolare un messaggio potenzialmente criminogeno perché l’indebita percezione del reddito di cittadinanza, tra un anno, non sarà più sanzionata.
La prevista abrogazione ha posto, altresì, problemi di natura giuridica. In particolare, stabilire se e da quale momento l’abrogazione delle norme incriminatrici di cui all’art. 7 commi 1 e 2 dl n. 4/2019 dava luogo a una successione di leggi penali, disciplinata dall’art. 2 c.p., e se comportava una abolitio criminis, capace di travolgere anche le sentenze passate in giudicato.
Con riguardo al primo punto, l’effetto abrogativo si è prodotto solo a partire dal 1° gennaio 2024, secondo la volontà del legislatore. Dunque, fino al 31 dicembre 2023 sono rimaste applicabili le norme incriminatrici di cui all’art. 7 DL n. 4/2019. Tuttavia, ci sono dubbi circa la legittimità costituzionale del differimento al 1° gennaio 2024 dell’applicazione di una lex mitior, con conseguente ultrattività delle norme penali sfavorevoli.
Con riguardo al secondo punto, in assenza dell’art. 13, comma 3, DL n. 48/2023, il 1° gennaio 2024 si sarebbe realizzata una abolitio criminis, ai sensi dell’art. 2, comma 2, c.p. Cosicché i fatti incriminati dall’art. 7, co 1 e 2, DL n. 48/2019 sarebbero stati riconducibili all’illecito amministrativo di cui all’art. 316 ter, co 2, c.p. (abrogatio sine abolitione), configurabile in caso di indebita percezione di erogazioni pubbliche sotto la sogli di euro 4000 (una soglia che, tuttavia, il reddito di cittadinanza non supera mai, con la conseguenza che non sarebbe stato, comunque, più punibile).
Sarebbe, altresì, venuto meno l’effetto penale della condanna con conseguente con conseguente modifica migliorativa del trattamento sanzionatorio penale, applicabile retroattivamente, ai sensi dell’art. 2 co 4° c.p. con il limite del giudicato. Ciò significa che, in relazione alle condanne passate in giudicato prima del 1° gennaio 2024, al condannato si sarebbe potuta chiedere la restituzione di quanto indebitamente percepito a titolo di reddito di cittadinanza. In relazione alle condanne passate in giudicato dopo tale data, il condannato avrebbe potuto eccepire la sopravvenienza della disciplina più favorevole che ha abolito l’effetto penale della condanna.
Senza contare poi che il differimento dell’abrogazione dell’art. 7 al 1° gennaio 2024 solleva dubbi di legittimità costituzionale, sotto il profilo della compatibilità con il principio di uguaglianza/ragionevolezza, per l’effetto di rendere ultrattive norme penali sfavorevoli e abrogate.
In sostanza, senza l’intervento correttivo del luglio 2023, avremmo assistito ad una abolitio criminis dell’art. 7 DL n. 4/2019 con tutte le conseguenze e problematiche giuridiche esposte. In realtà, in attesa di tale intervento legislativo, hanno trovato spazio pronunce giurisprudenziali di non luogo a procedere perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
A questo punto il legislatore non poteva far altro che intervenire al fine di elidere le conseguenze dell’abolitio criminis. Ebbene, la disposizione di cui all’art. 13 comma 3 DL n. 48/2023 è stata approvata con lo scopo di escludere l’inefficacia della reazione sanzionatoria prevista in caso di violazione dell’art. 7 co 1 e 2 DL n. 4/2019 per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023.
In conclusione, dal 1° gennaio 2024 non è più possibile realizzare i reati di cui all’art. 7 DL n. 4/29019 e ciò costituisce l’effetto immediato in sede penalistica del fatto che la misura del reddito di cittadinanza non esiste più. Ma questo, in apparente deroga al principio di cui all’art. 2 co 2 c.p., non significa che questi delitti siano stati abrogati. Anzi, il legislatore ritenendo ancora rilevante il disvalore della condotta, ha espressamente escluso l’abrogazione con conseguente applicazione dell’art. 7 DL n. 4/2019 ai fatti commessi fino al 31 dicembre 2023 anche dopo la definitiva scomparsa dall’ordinamento giuridico del reddito di cittadinanza. In sostanza, il fatto che dal 1° gennaio 2024 il reato non sia più realizzabile nemmeno in astratto, non significa che il delitto sia stato abrogato.
Dott.ssa Valentina Di Pancrazio