Con l'ordinanza in commento la Cassazione ha, di fatto, ribadito quello che, senza alcun dubbio,
può essere considerato un principio di civilità giuridica riconoscendo in capo al danneggiato, il
diritto a vedersi riconosciuto l'esborso sostenuto per far fronte alle riparazioni del mezzo
danneggiato anche nel caso in cui l'ammontare delle stesse superi il valore che il mezzo aveva prima
del sinistro.
La parte del pronunciamento in commento veramente degna di rilievo è qualla nella quale la
Suprema Corte si sofferma sulla descrizione del concetto di eccessiva onerosità.
Nel caso de quo, il danneggiato aveva promosso un'azione risarcitoria per il ristoro, ex pluribus, dei
danni al veicolo, ottenendo, il pagamento del costo della riparazione, anche se superiore al valore
commerciale del mezzo.
In appello era stato invece escluso il risarcimento in forma specifica perchè di ammontare pari a
quasi il doppio rispetto al valore ante-sinistro del mezzo. Il giudice del gravame aveva quindi
proceduto alla liquidazione del danno "per equivalente" e senza peraltro riconoscere i costi sostenuti
per la sostituzione del mezzo (spese di rottamazione, nuova immatricolazione ecc.) in quanto non
effettivamente sostenuti.
La Cassazione ha censurato la decisione assunta dal giudice del gravame chiarendo (richiamando
sul punto una precedente statuizione e, segnatamente la n.10196/2022):
a) che le due forme di liquidazione (id est risarcimento in forma specifica e risarcimento per
equivalente) si pongono, fra loro, in un rapporto di regola ed eccezione, nel senso che la
reintegrazione in forma specifica (che vale a ripristinare la situazione patrimoniale lesa mediante la
riparazione del bene), costituisce la modalità ordinaria, che può, tuttavia, essere derogata dal giudice
- con valutazione rimessa al suo prudente apprezzamento ("può disporre") - in favore del
risarcimento per equivalente, laddove la reintegrazione in forma specifica risulti eccessivamente
onerosa per la parte obbligata;
b) che l'eccessiva onerosità ricorre quando il costo delle riparazioni superi notevolmente il valore di
mercato del veicolo, gravando il danneggiante di un peso sproporzionato e finendo per arricchire in
modo ingiustificato il danneggiato.
Segnatamente il Collegio ha ritenuto che, nel bilanciamento fra l'esigenza di reintegrare il
danneggiato nella situazione antecedente al sinistro e quella di non gravare il danneggiante di un
costo eccessivo, l'eventuale locupletazione per il danneggiato costituisca un elemento idoneo a
orientare il giudice nella scelta della modalità liquidatoria e, al tempo stesso, un dato sintomatico
della correttezza dell'applicazione dell'art. 2058, 2 co. c.c.; invero, va considerato che il danneggiato
può avere serie ed apprezzabili ragioni per preferire la riparazione alla sostituzione del veicolo
danneggiato (ad es., perchè gli risulta più agevole la guida di un mezzo cui è abituato o perchè vi
sono difficoltà di reperirne uno con caratteristiche similari sul mercato o perchè vuole sottrarsi ai
tempi della ricerca di un veicolo equipollente e ai rischi di un usato che potrebbe rivelarsi non
affidabile) e che una piena soddisfazione delle sue ragioni risarcitorie può comportare un costo
anche notevolmente superiore a quello della sostituzione; per altro verso, al debitore non può essere
imposta sempre e comunque (a qualunque costo) la reintegrazione in forma specifica, dato che
l'obbligo risarcitorio deve essere comunque parametrato a elementi oggettivi e che, pur tenendo
conto dell'interesse del danneggiato al ripristino del bene e della possibilità che i costi di tale
ripristino si discostino anche in misura sensibile dal valore di scambio del bene, non può consentirsi
che al danneggiato venga riconosciuto più di quanto necessario per elidere il pregiudizio subito
(ostandovi il principio - sotteso all'intero sistema della responsabilità civile, secondo cui il
risarcimento deve essere integrale, ma non può eccedere la misura del danno e comportare un
arricchimento per il danneggiato); come si è visto, la giurisprudenza di legittimità ha individuato il
punto di equilibrio delle contrapposte esigenze facendo riferimento alla necessità che il costo delle
riparazioni non superi "notevolmente" il valore di mercato del veicolo danneggiato; si tratta di un
criterio che si presta a tutelare adeguatamente la posizione dell'obbligato rispetto ad eccessi
liquidatori, ma non anche a tener conto della necessità di non sacrificare specifiche esigenze del
danneggiato a veder ripristinato il proprio mezzo; esigenze che debbono trovare tutela nella misura
in cui risultino idonee a realizzare la migliore soddisfazione del danneggiato e, al tempo stesso, non
ne comportino una indebita locupletazione; in tale ottica, deve dunque ritenersi, secondo
l'opinamento espresso nella statuizione in commento che, ai fini dell'applicazione dell'art. 2058, 2
co. c.c., la verifica di eccessiva onerosità, non possa basarsi soltanto sull'entità dei costi, ma debba
anche valutare se la reintegrazione in forma specifica comporti o meno una locupletazione per il
danneggiato, tale da superare la finalità risarcitoria che le è propria e da rendere ingiustificata la
condanna del debitore a una prestazione che ecceda notevolmente il valore di mercato del bene
danneggiato.
Partendo da tali considerazioni la Suprema Corte ha ritenuto di poter cassare la decisione del
giudice del gravame nella misura in cui lo stesso abbia considerato sufficiente per escludere il
risarcimento in forma specifica, il semplice fatto che il valore della riparazione fosse quasi doppio
di quello del veicolo prima del sinistro: secondo la giurisprudenza apicale, infatti, il giudice avrebbe
dovuto verificare se le riparazioni avessero aumentato, nel caso di specie, il valore del bene rispetto
a quello che lo stesso aveva prima del sinistro.
La Suprema Corte, inoltre, esprime un ulteriore importante principio asserendo che nel caso in cui si
dovessero concretamente ravvisare gli estremi per il risarcimento per equivalente, dovrebbero poi
riconoscersi anche tutte le voci di danno legate alla sostituzione del veicolo.
Vero è infatti che, se al responsabile non può essere caricato il costo di una riparazione
antieconomica, neppure gli andrà accordato un vantaggio escludendo quei costi che gli sarebbero
stati addebitati se il danneggato avesse deciso di non far riparare il mezzo. Anche perchè la
decisione di ripristinare il veicolo potrebbe essere stata presa accettando di sostenere in proprio il
differenziale tra risarcimento atteso (per equivalente) e costo concreto di riparazione.
Avv. Andrea Galiffa