logo-trasp
Messa alla prova. Irrilevanza del risarcimento del danno.

Sesta Sezione Penale della Suprema Corte, sentenza n. 47163/2022 -messa alla prova- irrilevanza dell'omesso risarcimento del danno nell'ipotesi di "positività di emenda e di risocializzazione

Molto spesso ci troviamo a dover gestire, nella aule di Tribunale, la problematica legata al risarcimento del danno nell'ipotesi di messa alla prova.

La questione è apparentemente semplice atteso che l'articolo 168 bis del codice penale non subordina la sospensione del procedimento al risarcimento del danno atteso che, testualmente, al secondo comma del citato articolo si legge “La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato......”.

La Sesta Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza n. 47163 depositata il 13 dicembre 2022, ha chiarito che per la messa alla prova ex art 168 bis cp è rilevante la sussistenza di una condotta latamente qualificabile come riparativa rispetto alle conseguenze dannose dei reati commessi. Il mancato risarcimento del danno non preclude l’ammissione e la valutazione finale del giudice sull’esito positivo.

La questione nasce dalla pronuncia del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Nocera Inferiore il quale dichiarava, ai sensi dell’art. 464 septies cpp, estinti i reati contestati al signor Tizio, imputato dei reati di cui agli artt. 646 e 367 c.p., il quale aveva chiesto e ottenuto la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Il Gudice, in particolare, dava atto, al termine del periodo di sospensione del procedimento, dell'esito positivo dei lavori medio tempore effettuati dall'imputato secondo le modalità di cui al programma in atti.

Detta sentenza veniva impugnata dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Salerno, il quale, in particolare, deduceva la violazione di legge, in relazione agli artt. 464-bis e 464-septies c.p.p., per avere il suddetto G.I.P. (per quanto qui d'interesse) dichiarato la estinzione dei reati, senza che né nell’istanza né nella sentenza vi fosse alcun cenno alle prescrizioni inerenti al risarcimento del danno ovvero alle condotte riparative delle conseguenze dannose o pericolose del reato, prescrizioni, ritenute dal Prcouratore Generale requisito essenziale per l’instaurazione di quel rito speciale e per la conseguenze adozione della sentenza finale di estinzione del reato.

La Suprema Corte, con la sentenza in rubrica richiama il dettato di cui all’art. 168-bis, secondo e terzo comma, del codice penale ritenendo che la lettera della norma fosse chiara nell’indicare quali siano le prestazioni che vanno indicate nella richiesta dell’imputato di sospensione del procedimento e la cui esistenza e contenuto vanno poi verificate dal giudice in sede di ammissione alla messa alla prova e di valutazione finale.

Di queste, soltanto il risarcimento del danno causato dal reato rappresenta una eventualità (“...ove possibile...”) che in concreto può mancare, non potendo, invece, essere assenti gli altri requisiti necessari per la messa alla prova. Nel caso che ci occupa, il G. I.P., nel valutare l’esito della messa alla prova, nulla ha precisato in ordine al risarcimento del danno, perché non previsto nell’ordinanza ammissiva del rito. Il Giudice, non solo ha riconosciuto il positivo svolgimento da parte dell’imputato del lavoro di pubblica utilità, ma ha altresì dedotto come dall'attività di volontariato posta in essere dall'imputato, questi aveva acquisito anche una “positiva prova di emenda e di risocializzazione”: aspetto, quest’ultimo, idoneo ad integrare gli estremi di un giudizio sintetico circa la sussistenza di una condotta latamente qualificabile come riparativa rispetto alle conseguenze dannose dei reati commessi, profilo con riferimento al quale le doglianze del ricorrente sono risultate aspecifiche.

La Suprema Corte, con altra importante pronuncia del 7 luglio 2022 n. 26046  aveva già chiarito che la riparazione del danno non è condizione di accesso alla messa alla prova. Con la sentenza impugnata dinanzi alla Suprema Corte, il ricorrente, il quale poneva l’argomentazione per cui la riparazione del danno non costituiva una condizione ineliminabile per l’accesso alla messa alla prova,  deduceva, tra le altre, le violazioni della legge penale e processuale poste in essere dai giudici in entrambi i gradi di merito nel ritenere che la richiesta di messa alla prova dal medesimo avanzata, non fosse meritevole di accoglimento poiché questi non sarebbe stato in grado di riparare il danno da lui perpetrato con i reati commessi.

In particolare i giudici di primo e secondo grado ritenevano non meritevole di accoglimento la richiesta di sospensione con messa alla prova  atteso che l’imputato (per reati fiscali), non aveva neppure tentato un’offerta risarcitoria del danno cagionato dal fatto in relazione al quale si chiedeva il beneficio e, in ogni caso, il ricorrente, anche svolgendo una prestazione di lavoro di pubblica utilità, non avrebbe potuto pagare il debito tributario maturato a causa delle sue condotte.

La Corte di Cassazione ha evidenziato la erroneità in diritto delle affermazioni operate dai giudici del merito e la inadeguatezza della motivazione della sentenza fondata su quelle affermazioni. In sostanza, nella specie, i giudici del merito avevano subordinato la possibilità di essere ammessi al più volte citato beneficio o all'avvenuto risarcimento del danno cagionato per effetto del reato contestato o, comunque, allo svolgimento di un'attività di pubblica utilità il cui prodotto costituisse un valore pari all'importo del danno cagionato. Tale impostazione, di tipo meccanicisticamente retributivo, è stata ritenuta priva di fondamento normativo e razionale. È noto che fra le condizioni necessarie ai fini della ammissione alla messa alla prova, il risarcimento del danno cagionato dal reato è indicato solamente con la espressione "ove possibile", e non come fattore condizionante in grado di generare, ove impossibile, l’inammissibilità della richiesta del prevenuto. In tale senso, infatti, si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità, laddove ha chiarito che la valutazione dell'adeguatezza del programma presentato dall'imputato, va operata sulla base degli elementi evocati dall'art 133 c.p., in relazione non soltanto all'idoneità a favorire il reinserimento sociale del prevenuto, ma anche all'effettiva corrispondenza alle condizioni di vita dello stesso, avuto riguardo alla previsione di un risarcimento del danno corrispondente, ove possibile, al pregiudizio arrecato alla vittima o che, comunque, sia espressione della sua disponibilità ad assicurare la prestazione, ai fini ripristinatori, dello sforzo massimo da lui sostenibile alla luce delle sue condizioni economiche, che possono essere verificate dal giudice ex art 464 bis, comma 5, cpp (Cass Pen Sez II, 30/07/2019 n. 34878).

Avv. Alfredo Bonanni