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Il TFR nel divorzio

HA DIRITTO AD UNA QUOTA DI TFR IL CONIUGE IN SEDE DI DIVORZIO?
L' art. 12 bis della l. n. 898/1970 recita testualmente che "1. Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell'articolo 5, ad una percentuale dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l'indennità viene a maturare dopo la sentenza. 2. Tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio".
Ecco che, pertanto, è possibile avere diritto ad una quota di TFR del coniuge dal momento della domanda di divorzio (anche se non è ancora intervenuta la sentenza che dichiara la cessazione degli effetti civili del matrimonio), tuttavia l'istanza per l'ottenimento della detta quota deve essere fatta in sede di domanda di divorzio e la relativa spettanza diventa esigibile soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
Si deve prendere in considerazione quanto percepito dal coniuge dopo l'instaurazione del giudizio divorzile, al netto, quindi, di eventuali anticipazioni medio tempore riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stesse definitivamente entrate nell'esclusiva disponibilità dell'avente diritto ed al netto delle imposte (quindi in base a quanto effettivamente riscosso).

Condizioni per ottenere la quota di TFR:

spetta al coniuge al quale viene riconosciuto l'assegno ex art 5 della citata legge (il sorgere del diritto del coniuge divorziato alla quota dell'indennità di fine rapporto non presuppone la mera debenza in astratto di un assegno di divorzio, e neppure la percezione, in concreto, di un assegno di mantenimento in base a convenzioni intercorse fra le parti, ma presuppone che l'indennità di fine rapporto sia percepita dopo una sentenza che abbia liquidato un assegno in base all'articolo 5 della legge n. 898 del 1970, ovvero dopo la proposizione del giudizio di divorzio nel quale sia stato successivamente giudizialmente" liquidato l'assegno stesso);

il coniuge non sia passato a nuove nozze.
Il Tribunale di Taranto, con la sentenza del 16 febbraio 2024 ha precisato che il disposto dell’art. 12 bis L. n. 898 del 1970 - nella parte in cui attribuisce al coniuge titolare dell’assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze il diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto percepita dall’altro coniuge “anche quando tale indennità sia maturata prima della sentenza di divorzio” - va interpretato
nel senso che il diritto alla quota sorge soltanto se l’indennità spettante all’altro coniuge venga a maturare al momento della proposizione della domanda introduttiva del giudizio di divorzio o successivamente ad essa - in tal senso dovendosi intendere l’espressione “anche prima della sentenza di divorzio”, implicando ogni diversa interpretazione indiscutibili profili di incostituzionalità della norma in parola.
Quindi il diritto ad una quota dell'indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge sorge quando l'indennità sia maturata al momento o dopo la proposizione della domanda di divorzio e, quindi, anche prima della sentenza di divorzio, implicando ogni diversa interpretazione profili di incostituzionalità della norma stessa (Cass. 10 novembre 2006, n. 24057; 29 settembre 2005, n. 19046; 18 dicembre 2003, n. 19427; 17 dicembre 2003, n. 19309; 7 giugno 1999, n. 5553).
La ratio dell'art. 12 bis, è quella di correlare il diritto alla quota di indennità non ancora percepita dal coniuge che ne abbia diritto al diritto all'assegno divorzile, il quale in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorché - di regola - esso venga costituito in concreto e divenga esigibile solo dal momento del passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, con la conseguenza che ove l'indennità di fine rapporto sia percepita dall'avente diritto dopo la domanda singola o congiunta di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell'assegno deve ritenersi riconnessa dall'art. 12 bis, l'attribuzione del diritto alla quota dell'indennità suddetta, la quale potrà essere liquidata con la stessa sentenza di divorzio (in tal senso anche, da ultimo, Cass. n. 21002/2008), ovvero in un distinto, successivo procedimento (così in Cass. 27233/2008).
Quindi la domanda per l'ottenimento della quota di tfr può essere effettuata (i) contestualmente alla domanda di divorzio e di assegno divorzile; (ii) in un momento successivo in sede di modifica delle condizioni di divorzio, momento in cui il giudice dovrà verificare se vi sono i requisiti per avere il diritto alla quota.
Il fondamento del diritto in questione è il medesimo su cui poggia il riconoscimento dell'assegno divorzile: l'attribuzione patrimoniale risponde, cioè, alle medesime finalità, assistenziale e perequativo-compensativa, cui obbedisce, secondo il noto arresto di queste Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 11 luglio 2018, n. 18287), l'assegno in questione.


Di seguito alcune massime relative all'art. 12 bis Legge sul divorzio


Cass. civ. n. 24421/2013
La quota del trattamento di fine rapporto dell'altro coniuge, riconosciuta dall'art. 12 bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, a quello titolare dell'assegno divorzile che non sia passato a nuove nozze, deve
liquidarsi sulla base di quanto dal primo riscosso, per tale causale, al netto delle imposte, altrimenti trovandosi lo stesso a doverla corrispondere in relazione ad un importo da lui non percepito siccome gravato dal carico fiscale.
L'art. 12 bis della legge 1 dicembre 1970, n. 898, laddove attribuisce al coniuge titolare dell'assegno di cui al precedente art. 5, che non sia passato a nuove nozze, il diritto ad una quota del trattamento di fine rapporto dell'altro coniuge, va interpretato nel senso che per la liquidazione di tale quota occorre avere riguardo a quanto percepito da quest'ultimo, per detta causale, dopo l'instaurazione del giudizio divorzile, escludendosi, quindi, eventuali anticipazioni riscosse durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, essendo le stesse definitivamente entrate nell'esclusiva disponibilità dell'avente diritto.(Cassazione civile, Sez. VI, sentenza n. 24421 del 29 ottobre 2013)


Cass. civ. n. 10177/2012
In tema di trattamento economico a favore del coniuge divorziato, l'assegno vitalizio erogato all'ex coniuge defunto dalla Camera dei Deputati presenta caratteri solo per una parte riconducibili al modello previdenziale pensionistico, mentre per l'altra tali caratteri sono assimilabili al regime delle assicurazioni private; inoltre, detto assegno, a differenza della pensione ordinaria, viene a ricollegarsi ad un'indennità di carica goduta in virtù di un mandato pubblico, con caratteri, criteri e finalità ben diverse da quelle proprie della retribuzione connessa ad un rapporto di lavoro; è errata, inoltre, un'assimilazione del beneficiario "post mortem" al titolare di una pensione di reversibilità, in quanto il trasferimento del vitalizio è subordinato al pagamento di una quota aggiuntiva del parlamentare ed il beneficiario è indicato a sua scelta. Ne consegue che tale somma non è suscettibile di essere attribuita, pro quota, al coniuge titolare dell'assegno divorzile. (Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 10177 del 20 giugno 2012)


Cass. civ. n. 30200/2011
Il decreto della corte d'appello, emesso in un procedimento contenzioso avente ad oggetto l'attribuzione di una quota di T.F.R., ai sensi dell'art. 12 bis della legge 1º dicembre 1970, n. 898, ha valore di sentenza ed è idoneo a passare in giudicato, onde non è revocabile ai sensi dell'art. 742 c.p.c. - norma che riguarda i soli procedimenti di volontaria giurisdizione e che si riferisce proprio ai decreti conclusivi di tali procedimenti ma privi del carattere di decisorietà - essendo impugnabile, qualora ne sussistano i presupposti, con l'azione di revocazione di cui all'art. 395 c.p.c. Ne consegue che è inammissibile il ricorso per cassazione proposto avverso il decreto in tal caso emesso dalla corte d'appello su ricorso ex art. 742 c.p.c.. (Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 30200 del 30 dicembre 2011)


Cass. civ. n. 12175/2011
L'espressione, contenuta nell'art. 12 bis della legge 1º dicembre 1970, n. 898, secondo cui il coniuge ha diritto alla quota del trattamento di fine rapporto anche se questo "viene a maturare dopo la sentenza" implica che tale diritto deve ritenersi attribuibile anche ove il trattamento di fine rapporto sia maturato prima della sentenza di divorzio, ma dopo la proposizione della relativa domanda, quando invero ancora non possono esservi soggetti titolari dell'assegno divorzile, divenendo essi tali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divorzio ovvero di quella, ancora successiva, che lo abbia liquidato. Infatti, poiché la "ratio" della norma è quella di correlare il diritto alla quota di indennità, non ancora percepita dal coniuge cui essa spetti, all'assegno divorzile, che in astratto sorge, ove spettante, contestualmente alla domanda di divorzio, ancorché di regola venga costituito e divenga esigibile solo con il passaggio in giudicato della sentenza che lo liquidi, ne deriva che, indipendentemente dalla decorrenza dell'assegno di divorzio, ove l'indennità sia percepita dall'avente diritto dopo la domanda di divorzio, al definitivo riconoscimento giudiziario della concreta spettanza dell'assegno è riconnessa l'attribuzione del diritto alla quota di T.F.R. La domanda di corresponsione di un acconto sull'indennità di fine rapporto spettante all'ex coniuge, proposta nel giudizio di divorzio, è diversa dalla domanda di corresponsione di una quota di tale indennità riproposta in apposito giudizio e, pertanto, al riguardo non si forma alcun giudicato esterno. (Cassazione civile, Sez. I, sentenza n. 12175 del 6 giugno 2011)


Avv. Alfredo Bonanni