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Responsabilità medica – I cinque casi di vizio del consenso alla luce dell’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 30858 del 12 dicembre 2024

La Suprema Corte, con l'ordinanza in commento, è tornata a pronunciarsi su una questione di estrema importanza ed attualità : gli obblighi informativi gravanti sui sanitari in punto di consenso informato in relazione ai pregiudizi subiti dal danneggiato per la lesione al proprio diritto di autodeterminazione.

Nel 2011 A.A. convenne dinanzi al Tribunale di Modena, l'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena chiedendo di accertarne la responsabilità in relazione alla condotta imperita ed imprudente dei sanitari del Centro Trapianti dell'Ospedale di Modena cui imputava:

1) di non avere eseguito nel rispetto della migliore scienza medica e della legislazione di settore l' intervento chirurgico di trapianto di fegato cui era stato sottoposto il 19.12.2005 avendo i chirurghi impiantato un fegato non idoneo, in quanto proveniente da soggetto deceduto per intossicazione acuta da monossido di carbonio, che gli aveva causato uno scompenso metabolico, e, rimosso tale organo, per averlo messo in stato "anepatico" per dodici ore prima di impiantargli un altro fegato proveniente da un altro donatore;

2) di non averlo informato che il fegato disponibile per il trapianto proveniva da un soggetto deceduto per la predetta intossicazione acuta da monossido di carbonio e di non avergli spiegato i rischi connessi al trapianto di tale "organo già danneggiato", risultando indifferente, rispetto all'obbligo di informazione, se l'intervento fosse stato o meno eseguito correttamente "in quantola correttezza dell'esecuzione assume rilievo agli effetti della configurazione della responsabilità sotto un diverso profilo".

A.A. chiese quindi la condanna dell'Azienda convenuta al risarcimento dei danni subiti costituiti: a) dal danno biologico da invalidità temporanea e permanente ; b) dal danno morale ex art. 2059 cc ; c) dalla lesione del consenso informato determinata dalla "privazione del diritto ad una scelta ponderata e consapevole.

 L'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena si costituì contestando ogni responsabilità dei sanitari e le domande di cui chiese il rigetto. sostenendo la correttezza della condotta dei sanitari i quali avevano operato secundum legem artis sia nell'esecuzione dell'intervento,di particolare difficoltà ex art. 2236 c.c. sia nella fase post operatoria, nonché la completezza degli accertamenti svolti sull'organo. Il Centro Interregionale Trapianti, infatti, eseguiti i necessari accertamenti, aveva qualificato il soggetto donatore come soggetto a rischio standard con valutazione di idoneità "discreta" ed aggiunse che i trapianti di fegati provenienti da soggetti deceduti a causa di inalazione di monossido di carbonio non determinano, di per sé, il verificarsi della sindrome da riperfusione dopo l' innesto dell'organo e che, nella fattispecie, il fatto che l'organo provenisse da soggetto deceduto per tale intossicazione non aveva in alcun modo influito né sull' idoneità dell'organo né sull'esito dell' intervento.Quanto all'obbligo di informazione, sostenne di avere raccolto il consenso del paziente secondo la miglior diligenza, fornendogli con la massima serietà e precisione tuttele informazioni necessarie per permettergli una consapevole comprensione dell'intervento. Né difetti e carenze di informazioni potevano ravvisarsi nel non avere reso noto al paziente che il fegato proveniva da soggetto deceduto per intossicazione da monossido di carbonio, circostanza che, non avendo influito sull' idoneità dell'organo al trapianto, non aveva esposto il paziente a nessun rischio e/o complicanza ulteriore se non quelli di cui aveva avuto già ampia informazione al momento della sottoscrizione del modulo del consenso.

Il Tribunale di Modena con la sentenza n. 1465/2015, affermò la totale correttezza dell'operato dei sanitari nell'esecuzione del trattamento che, oltre che necessario in relazione alle gravi condizioni cliniche dell'attore, era complesso e delicato anche per esperti in materia; affermò che i sanitari avevano agito nel pieno rispetto dei protocolli e della lex artis ed avevano adeguatamente fronteggiato le complicanze insorte, la sindrome da vascolarizzazione, le quali costituivano esiti prevedibili, ma "inevitabili evoluzioni sfavorevoli di tale difficile intervento".

Quanto al consenso informato, il Tribunale affermò che i due moduli scritti prodotti dall'Azienda Ospedaliera convenuta erano, l'uno, generico al punto da non consentire la formazione di un adeguato consenso al trattamento chirurgico e, l'altro, non pertinente in quanto si trattava del consenso informato all'anestesia; in conseguenza, accolse la domanda formulata da A.A. relativamente alla violazione del consenso informato affermando la responsabilità dell'Azienda "per i prevedibili esiti infausti dell'operazione e per l'aggravamento delle condizioni di salute del paziente ... essendo irrilevante che il peggioramento sia dovuto ad un'esecuzione del trattamento corretta o scorretta"; condannò quindi l'Azienda Ospedaliera al pagamento in favore dell'attore della somma di Euro 113.457 per il danno biologico, temporaneo e permanente, accertato dal CTU e liquidato in base alle tabelle del Tribunale di Milano, nonché dell'ulteriore somma di Euro 10.000 per il danno da lesione del consenso informato, inteso come diritto all'autodeterminazione, pregiudizio di apprezzabile gravità "diverso dalla lesione del diritto alla salute", nonché alla rifusione delle spese di lite.

Avverso la sentenza del Tribunale di Modena, l'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena proponeva  appello dinanzi la Corte d'Appello di Bologna.

La Corte territoriale con la sentenza n. 2294/2021 accoglieva l'appello e rigettava le domande formulate dall'attore originario, condannandolo alla restituzione, a favore dell'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena, delle somme pagate in ottemperanza alla sentenza appellata ed alla rifusione delle spese processuali.

Avverso la sentenza d'appello, proponeva ricorso per cassazione A.A. sorretto da cinque motivi di impugnazione. Resisteva con controricorso l'Azienda Ospedaliero Universitaria Policlinico di Modena.

Degni di rilevanza sono i primi quattro motivi, tutti fondati su contestazioni afferenti la presunta erronea valutazione, da parte della Corte di Appello, degli obblighi informativi gravanti sui sanitari in punto di consenso informato nonchè in relazione ai pregiudizi subiti dal danneggiato per la lesione al proprio diritto di autodeterminazione. La Suprema Corte decideva di trattare congiuntamente i suesposti motivi di gravame ritenendoli inammissibili.

Nello specifico, la Corte richiamava quanto affermato nell'ambito della responsabilità medico-chirurgica ai fini della risarcibilità del danno inferto sia alla salute (per inadempiente esecuzione della prestazione sanitaria), sia al diritto all'autodeterminazione (per violazione degli obblighi informativi). Ricordava, nello specifco che, sul punto, la giurispridenza di legittimità ha enucleato cinque distinte ipotesi:

I) se ricorrono:

a) il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso),

b) il danno iatrogeno (l'intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti),

c) la condotta inadempiente o colposa del medico, è risarcibile il solo danno alla salute del paziente, nella sua duplice componente relazionale e morale, conseguente alla non corretta esecuzione, inadempiente o colposa, della prestazione sanitaria;

II) se ricorrono:

a) il dissenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe rifiutato di sottoporsi all'atto terapeutico),

b) il danno iatrogeno (l'intervento ha determinato un peggioramento delle condizioni di salute preesistenti),

c) la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria, è risarcibile sia, per intero, il danno, biologico e morale, da lesione del diritto alla salute, sia il danno da lesione del diritto all'autodeterminazione del paziente, cioè le conseguenze dannose, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, allegate e provate (anche per presunzioni);

III) se ricorrono sia il dissenso presunto, sia il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria (cioè, l' intervento è stato correttamente eseguito), è risarcibile la sola violazione deldiritto all'autodeterminazione (sul piano puramente equitativo), mentre la lesione della salute - da considerarsi comunque in relazione causale con la condotta, poiché, in presenza di adeguata informazione, l'intervento non sarebbe stato eseguito – dev'essere valutata in relazione alla eventuale situazione "differenziale" tra il maggiore danno biologico conseguente all'intervento ed il preesistente stato patologico invalidante del soggetto;

IV) se ricorre il consenso presunto (ossia può presumersi che, se correttamente informato, il paziente avrebbe comunque prestato il suo consenso) e non vi è alcun danno derivante dall' intervento, non è dovuto alcun risarcimento;

V) se ricorrono il consenso presunto e il danno iatrogeno, ma non la condotta inadempiente o colposa del medico nell'esecuzione della prestazione sanitaria (cioè, l' intervento è stato correttamente eseguito), il danno da lesione del diritto, costituzionalmente tutelato, all'autodeterminazione è risarcibile qualora il paziente alleghi e provi che dalla omessa, inadeguata o insufficiente informazione gli siano comunque derivate conseguenze dannose, di natura non patrimoniale, diverse dal danno da lesione del diritto alla salute, in termini di sofferenza soggettiva e contrazione della libertà di disporre di sé stesso, psichicamente e fisicamente (Cass. Sez 3, 12/06/2023 n.16633).

Spiega inoltre la Suprema Corte che, la Corte d'Appello aveva riformato la sentenza di prime cure poiché in violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c. "aveva valutato la domanda di lesione del consenso informato esclusivamente con riguardo alle informazioni generali sull'intervento di trapianto di fegato contenute nei moduli scritti inseriti nella cartella clinica (…) senza che tali profili di inadempimento fossero stati ritualmente allegati e prospettati dall'attore nell'atto introduttivo e nella prima memoria ex art. 183 VI co. c.p.c. " .

La Corte d'Appello, poi da un lato, ha precisato che i "dati preoperatori, correttamente raccolti, non mostravano alcuna concreta controindicazione al trapianto" e che pertanto la circostanza della intossicazione da monossido di carbonio del donatore non costituisse una controindicazione all'utilizzo del fegato da trapiantare; dall'altro lato, ha evidenziato che come correttamente evidenziato dal CTU, il paziente messo in lista d'attesa per un trapianto, in qualunque centro trapianti, non può scegliere il donatore e, soprattutto, deve essere informato della provenienza e delle caratteristiche dell'organo solo quando ci si trovi di fronte al sospetto o alla certezza che il donatore abbia una malattia infettiva o una malattia neoplastica trasmissibile, casi del tutto diversi da quello di specie; concludeva pertanto correttamente la Corte d'Appello di Bologna che, nel caso di specie, non vi fosse alcuna informazione che i sanitari fossero obbligati a dare sulla provenienza del fegato da soggetto deceduto per intossicazione da monossido di carbonio; pertanto, non era loro ascrivibile  alcun inadempimento.

Questa ordinanza rappresenta un contributo importante nella definizione dei confini tra responsabilità medica e diritto del paziente all’autodeterminazione. Essa chiarisce che il risarcimento per il vizio del consenso informato non può essere automatico, ma deve basarsi su una valutazione rigorosa delle circostanze specifiche, incluso il comportamento del medico, la presenza di un danno alla salute e l’effettiva lesione del diritto all’autodeterminazione.

Vero è, infatti che, nell'ipotesi di presunto consenso, l'inadempimento, da parte dei sanitari, dell'obbligo informativo, risulterebbe privo di efficienza causale sul risultato infausto dell'intervento correttamente eseguito, atteso che il paziente ha comunque assentito il trattamento sanitario.

Diversamente, in caso di presunto dissenso, l'inadempimento da parte dei sanitari, dell'obbligo informativo, assumerebbe invece rilevanza ed efficienza causale sul risultato infausto, in quanto, l'intervento sanitario, non essendo stato voluto dal paziente, non sarebbe stato eseguito e, di conseguenza, l'esito pregiudizievole non si sarebbe mai verificato.

Nell'ipotesi in cui invece il deficit informativo venga posto a fondamento delle eccezioni afferenti la lesione del diritto alla autodeterminazione del paziente, le considerazioni da fare dovranno appuntarsi invece sulla natura dei pregiudizi risarcibili.

In tale ipotesi, pertanto, la violazione dell'obbligo informativo determinerà comunque la lesione del diritto all'autodeterminazione nella misura in cui si possa ragionevolmente ritenere che, pur presumendosi che il paziente avrebbe prestato il consenso egli non sia stato messo nelle condizioni di autodeterminarsi con consapevolezza.

Va però ribadito che un danno risarcibile da lesione del diritto all'autodeterminazione è configurabile solo nell'ipotesi in cui, a causa del deficit informativo, il paziente abbia subito un pregiudizio, patrimoniale oppure non patrimoniale, in punto di sofferenza soggettiva, diverso dalla lesione del diritto alla salute, gravando, il relativo onere probatorio, ovviamente, sul medesimo danneggiato.

Avv. Andrea Galiffa