logo-trasp
MALTRATTAMENTI, PRESENZA DEL MINORE, REATO OSTATIVO E PENE SOSTITUTIVE

L’art. 572 punisce chiunque maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte.

Si tratta di reato proprio potendo essere commesso, al di là della lettera della norma incriminatrice, soltanto da chi ricopre un “ruolo” nel contesto della famiglia o una posizione di “autorità” o peculiare “affidamento” nelle aggregazioni assimilate alla famiglia. E’, inoltre, un reato necessariamente abituale integrandosi solo qualora le condotte siano reiterate nel tempo, non acquistando rilevanza penale episodi isolati. Le condotte rilevanti possono consistere in percosse, lesioni, ingiurie, minacce, privazioni e umiliazioni imposte alla vittima, ma anche in atti di disprezzo e di offesa alla sua dignità, che si risolvano in vere e proprie sofferenze morali, idonei ad imporre alla persona offesa un regime di vita vessatorio, mortificante e insostenibile.

La norma è applicabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma anche ai rapporti di solidarietà e assistenza reciproca, senza la necessità della convivenza o di una stabile coabitazione. Secondo parte della giurisprudenza il reato de quo è configurabile anche nel caso in cui le condotte proseguano dopo la cessazione della convivenza. Va precisato che nel caso di reciprocità delle condotte che raggiungano un grado di intensità e gravità equivalenti è esclusa la configurabilità del reato.

Quanto all’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico, cioè la coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo alle sofferenze in modo continuo ed abituale, tuttavia è richiesto un dolo unitario, cioè coscienza e volontà di commettere una serie di fatti lesivi.

Il legislatore è intervenuto sull’art. 572 c.p. con la L. 69/2019 c.d. Codice Rosso, di ratifica della Convenzione di Lanzarote, prevedendo, in particolare, al comma secondo del citato articolo l’aggravante, con aumento della pena fino alla metà, se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in gravidanza o di persona con disabilità. Si tratta dell’aggravante della c.d. “violenza assistita”. Con tale espressione si intende ogni forma di violenza indiretta nella quale la vittima è spettatrice di episodi di maltrattamenti perpetrati nei confronti di una figura di riferimento. La vittima di violenza assistita è considerata a tutti gli effetti persona offesa dal reato.

Interessanti sono due pronunce della Suprema Corte (n. 21024 e 27087 del 2022) con le quali ha escluso la sussistenza del reato qualora il minore sia davvero molto piccolo per poter percepire il contesto ambientale e i maltrattamenti sì da escludere che la sua integrità psicofisica possa essere compromessa.

Rilevanti sono le conseguenze di una sentenza di condanna per il reato di maltrattamenti aggravato ai sensi del comma secondo dell’art. 572 c.p. Invero, per l’ipotesi non aggravata, il Pubblico Ministero emette l’ordine di esecuzione con contestuale decreto di sospensione avvertendo il condannato che nel termine di 30 giorni dovrà formulare richiesta di applicazione di una misura alternativa alla detenzione ai sensi dell’art. 656 co 5 c.p.p.).

Di contro, per l’ipotesi aggravata ai sensi del comma secondo, l’art. 656 co 9 c.p.p. prevede una deroga alla regola sopracitata, stabilendo che l‘ordine di esecuzione è immediatamente esecutivo. Si tratta, dunque, di un reato “ostativo” che non consente l’accesso alle misure alternative alla detenzione.

Tuttavia, la Riforma Cartabia ha introdotto nell’ordinamento le nuove pene sostitutive consentendo così l’anticipazione dell’adozione di misure alternative al carcere in presenza di una condanna non superiore a quattro anni. E’ stato attribuito al giudice di cognizione un potere in precedenza riservato al giudice della sorveglianza ai sensi dell’art. 656 c.p.p.

Le nuove pene sostitutive, che oggi possono essere disposte dal giudice dopo la pronuncia di una sentenza di condanna o di applicazione pena su richiesta delle parti ai sensi dell’art. 545 bis c.p.p., possono trovare operatività anche nell’ipotesi dei maltrattamenti nella forma aggravata ai sensi del comma secondo. Invero, l’incipit dell’art. 545 bis c.p.p. ci dice che “il giudice, se ritiene che ricorrano i presupposti, sostituisce la pena detentiva con una delle pene sostitutive di cui all’articolo 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689”, senza porre ulteriori limiti.

Pertanto, chi si rende responsabile del reato di cui all’art. 572 comma 2 c.p., seppur non può essere destinatario di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena, ben potrà accedere, già in sede di cognizione, alle nuove pene sostitutive.

Dott.ssa Valentina Di Pancrazio