Com’è noto, il principio della libertà del testatore è una peculiare estrinsecazione dell’autonomia negoziale riconosciuta ai privati in ambito successorio. Essa, infatti, trova copertura costituzionale nell’ultimo comma dell’articolo 42 della Carta costituzionale a tenore del quale la trasmissione mortis causa può essere regolata anche dalla volontà del testatore, sia pure nei limiti stabiliti dalla legge.
In tal senso, dunque, il testatore può decidere se fare o non fare testamento, lasciando spazio– in questo caso- all’operare del meccanismo della successione legittima ovvero può determinare nel modo più libero il contenuto dell’atto di ultima volontà.
Proprio in virtù della centralità riconosciuta alla libertà del testatore è necessario che l’atto di disposizione mortis causa sia spontaneo: il testatore deve essere nella condizione di esprimere la propria volontà libero da qualsiasi condizionamento, concomitante o precedente alla redazione dell’atto stesso.
Di talché, il testamento, ai sensi dell’articolo 587 c.c., è revocabile in ogni momento atteso che la spontaneità deve essere intesa anche come libertà di modificare in ogni momento la propria volontà.
Da ciò, peraltro, discende il divieto di patti successori sanzionato dall’articolo 458 c.c. con la radicale nullità.
Divieto di patti successori
Appare utile evidenziare, tuttavia, che il divieto di patti successori incontra dei limiti derivanti dalla necessità di un suo bilanciamento con altri interessi parimenti rilevati tra i quali spicca la tutela dei legittimari, cristallizzata attraverso il principio della intangibilità della quota di legittima. Tale ultimo principio, descritto in termini generali dall’articolo 457, terzo comma, c.c., trova conferma anche nell’articolo 549 c.c., che vieta al testatore di imporre patti o condizioni sulla quota spettante ai legittimari, i quali, comunque, godono di tutela processuale esperibile mediante il ricorso all’azione di riduzione finalizzata alla reintegrazione della quota a loro riservata.
Sul punto, per comprendere chi effettivamente può essere annoverato nell’alveo dei legittimari è necessario analizzare l’articolo 557, primo comma, c.c. e, in modo particolare, la parte dedicata ai soggetti legittimati a chiedere la riduzione.
Precisamente, a tenore di tale norma, la mentovata riduzione non può essere domandata se non dai legittimari o dai loro eredi o aventi causa e, dunque, emerge che l’azione di riduzione, quale azione avente natura patrimoniale, è sicuramente cedibile e trasmissibile agli eredi.
Di conseguenza, nelle fattispecie in cui vi sia un legittimario pretermesso, occorre comprendere se i creditori personali di quest’ultimo possano ascriversi tra i mentovati soggetti e, precisamente, tra gli aventi causa, di cui all’articolo 557 c.c.
Articoli 557, 2900 e 524 codice civile
Per dare una risposta a tale quesito, appare necessario compiere un’analisi sistematica degli articoli 557, 2900 e 524 del Codice civile.
In particolare, l’articolo 2900 c.c. riconosce al creditore la legittimazione ad esercitare i diritti e le azioni che spettavano, verso i terzi, al proprio debitore, rispetto ai quali quest’ultimo sia rimasto inerte, purché i diritti e le azioni siano di contenuto patrimoniale e non si verta in materia di diritti o di azioni indisponibili.
Inoltre, in base a quanto previsto dall’articolo 557 c.c. circa il riconoscimento della legittimazione all’azione di riduzione in favore degli aventi causa, si potrebbe presumere che quest’ultima non sia un’azione personalissima e, dunque, che la prefata legittimazione si debba intendere più estesa di quanto previsto dal terzo comma del medesimo articolo 557 c.c., ai sensi del quale i creditori ereditari non possono chiedere la riduzione delle disposizione lesive qualora il legittimario avesse accettato con beneficio di inventario.
Ebbene, se tale legittimazione viene riconosciuta espressamente per l’ipotesi di accettazione pura e semplice in virtù della quale i creditori del defunto diventano creditori personali del legittimario a seguito della confusione dei patrimoni del de cuius e dell’erede, non si comprende per quale ragione si debbano escludere dalla tutela patrimoniale gli originari creditori personali del legittimario pretermesso che si trovano nella medesima condizione giuridica dei creditori del defunto.
Azione surrogatoria dei creditori
A questo punto, si rende necessario specificare a quale titolo è concesso riconoscere la legittimazione attiva ai creditori personali dei legittimari, totalmente pretermessi, di agire in surrogatoria e, dunque, analizzare l’articolo 524 c.c.
Segnatamente, detta norma non implica l’acquisizione in capo al creditore che l’ha esercitata, impugnando la rinuncia, della qualità di erede ma bensì l’attribuzione di una speciale legittimazione allo stesso creditore del rinunciante per l’ottenimento del soddisfacimento della propria pretesa creditoria.
Precisamente, ai creditori del legittimario è consentito far valere il diritto e l’azione che sarebbero spettati al legittimario, quale titolare.
In sostanza, la funzione dell’articolo 524 c.c. è quella di un espediente giuridico, un ibrido, volto ad assicurare una efficace tutela dei creditori anteriore alla rinunzia.
In definitiva, da questa ricostruzione deriva la possibilità di esperire l’azione di riduzione direttamente in via surrogatoria da parte del creditore del legittimario pretermesso, nel caso di inerzia colpevole di questi, mediante una interferenza eccezionale, ma legittima, nella sfera del debitore.
Infatti, l’azione surrogatoria è lo strumento che la legge riconosce al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle proprie pretese a causa dell’inerzia del debitore qualora questi eserciti le opportune azioni dirette ad alimentare il suo patrimonio, riducendo in tal modo la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori.
Cassazione 16623/2019
I principi sino ad ora esposti, peraltro, sono frutto della elaborazione giurisprudenziale della Suprema Corte, la quale ha chiarito espressamente la possibilità per i creditori di esercitare l’azione surrogatoria nella proposizione della domanda di riduzione della disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima quando il legittimario, totalmente pretermesso, sia rimasto inerte (Cfr. Cass. Civ., Sez. II, n.16623/2019).
Gli Ermellini, inoltre, hanno specificato che l’azione in parola deve essere esperita avverso i beneficiari delle disposizioni lesive nonché contro lo stesso debitore inerte in qualità di litisconsorte necessario, nel rispetto del principio in base al quale il legittimario pretermesso acquista la qualità di erede solo all’esito del positivo esperimento dell’azione di riduzione.
In altre parole, l’azione di riduzione ad opera dei creditori del legittimario pretermesso non determina l’acquisto automatico della qualità di erede in capo al legittimario pretermesso, ma una possibilità, per i creditori medesimi, di vedere tutelate le loro pretese creditorie.
Dott.ssa Miriana Martoni