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LA REVOCA DELLA PRESTAZIONE PREVIDENZIALE A SEGUITO DELLA VISITA DI REVISIONE – RIMEDI PROCESSUALI IN ATTESA DELL’AUSPICABILE PRONUNCIAMENTO DELLE SEZIONI UNITE

Costituisce ormai dato pacificamente acquisito, anche in forza della nota statuizione della Suprema Corte resa con la sentenza n.28445 del 2019 quello secondo cui, non sarebbe esperibile l'impugnativa avverso l'atto di revoca della prestazione sancita a seguito della visita di revisione, essendo necessaria la proposizione di una nuova domanda amministrativa finalizzata al ripristino della prestazione. Secondo gli Ermellini, infatti:“…ove la verifica amministrativa............. finalizzata ad accertare la permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, si concluda con la revoca della prestazione, tale atto determina, inevitabilmente, l’estinzione del diritto, senza possibilità di considerare come un unicum il precedente rapporto obbligatorio sorto dal riconoscimento del diritto ormai estinto, con la conseguenza della necessità di proporre una nuova domanda se l’interessato ritiene di trovarsi in situazione idonea”.

Pertanto, trattandosi del riconoscimento di un nuovo diritto del tutto diverso, ancorché identico nel contenuto, rispetto a quello estinto per revoca, l'interessato dovrebbe presentare una nuova domanda amministrativa per il ripristino della prestazione, e non ricorrere dinanzi all’autorità giudiziaria.

Tale impostazione è stata confermata dalla sentenza n.27355 del 30.11.2020.

La Cassazione, nel giudicare non impugnabile il provvedimento di revoca emesso dall’INPS, ha però sancito, in entrambe le decisioni, la ricorribilità del prodromico e presupposto atto di sospensione della prestazione.

L’INPS, a seguito della verifica negativa del requisito sanitario, dovrebbe quindi emettere, in base al disposto normativo, dapprima un provvedimento di sospensione cautelativa della prestazione, per poi procedere alla revoca definitiva della prestazione.

E difatti, negli ultimi tempi l’INPS ha perfezionato l'iter procedurale in modo da renderlo   (apparentemente) aderente al dato normativo, procedendo ad emettere, di fatto contestualmente, i due provvedimenti di sospensione e di revoca, notificandoli entrambi al fruitore della prestazione.

Tale condotta ha ineluttabilmente pregiudicato e di fatto impedito il ricorso alla tutela giurisdizionale da parte dell'interessato il quale, stante la pressochè totale contestualità della notifica dell'atto di sospensione e di quello di revoca risulta, di fatto, impossibilitato a proporre qualsivoglia tempestivo ricorso avverso il primo la cui validità ed efficacia risultano vanificate dall'atto di revoca.

Delchè l'unica possibilità, in capo all'invalido, rimarrebbe quella di proporre una nuova domanda amministrativa, con la conseguente rinuncia a tutte le prestazioni maturate nel lasso di tempo intercorrente tra la revoca della prestazione e l'eventuale ripristino della stessa a seguito dell'(eventuale) accoglimento della nuova domanda.

La mentovata criticità è stata correttamente rilevata dalla Suprema Corte la quale, con l'Ordinanza interlocutoria n.15710 del 23/07/2020, ha evidenziato due problemi fondamentali:

1) la negazione della diretta impugnabilità del provvedimento di revoca determinerebbe per l’interessato, in caso di esito favorevole del nuovo procedimento susseguente alla (ri)-proposizione della domanda, la perdita dei ratei maturati nel periodo di tempo intercorso fra la revoca del beneficio e la riammissione al godimento dello stesso; ciò in palese spregio del disposto di cui all'articolo 24 Cost., atteso che l'interessato sarebbe impossibilitato a rivendicare in via giudiziale quanto non corrisposto;

2) la non impugnabilità del provvedimento di revoca si pone in evidente contrasto con il disposto dell'articolo 4, comma 3 quater del D.L. 323 del 1996, convertito in L. n. 425 del 1996, a norma del quale “avverso il provvedimento di revoca è ammesso ricorso al giudice ordinario”.

Tali obiezioni sono state cristallizzate in un’ulteriore pronuncia della Sezione Lavoro della Suprema Corte e, segnatamente, la n.12945 del 2021, che ha, da ultimo, rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Tale sentenza ha il merito di aver evidenziato e ribadito tutte le criticità sopra segnalate e, principalmente, quella legata alla controversa questione dell'impugnabilità del decreto di revoca, pacificamente asseverata dalla Corte, nella citata pronunica di rimessione al Primo Presidente: “Sul piano logico-giuridico – conclude la Sezione Lavoro della Suprema Corte di Cassazione – sarebbe plausibile presupporre che, a seguito dell’intervenuto originario riconoscimento, resti fermo, in capo all’interessato, il diritto a ricorrere in giudizio per verificare la legittimità dell’accertamento sul permanere dei requisiti, sanitario e reddituale, in base ai quali era avvenuto l’originario riconoscimento del diritto alla prestazione".

In attesa dell'agognato ed auspicabile pronunciamento delle Sezioni Unite vien da chiedersi  quali siano i rimedi processuali concretamente esperibili avverso gli atti di revoca della prestazione, medio tempore notificati dall'INPS e ritenuti illegittimi dall'interessato, anche e soprattutto in considerazione del fatto che il giudizio di accertamento tecnico di cui all’art. 445 bis c.p.c. è, allo stato, la sede ove accertare esclusivamente la sussistenza del requisito sanitario e, nel quale, pertanto, non potrebbero trovare ingresso controversie relative a questioni che non riguardino l’aspetto eminentemente sanitario (quali, per l'appunto, l'impugnazione del provvedimento amministrativo di revoca della prestazione).

Orbene, a parere di chi scrive, l'unica tutela processale residuale concretamente fruibile dall'interessato che intenda ottenere, senza soluzione di continuità (e, quindi, senza pregiudizio rispetto ai ratei non più corrisposti a fronte del provvedimento di revoca),  la conferma della permanenza dei requisiti in forza dei quali era stata goduta la prestazione inopinatamente revocata, resta quella del ricorso ordinario ex art. 442 cpc attraverso il quale, il ricorrente, da un lato impugni e contesti la legittimità dell'atto amministrativo di revoca e, dall'altro e contestualmente, ne richieda l'integrale riforma attraverso una rivalutazione, nel merito e, quindi, anche dal punto di vista sanitario, dei presupposti che hanno indotto l'Istituto a disporre la cessazione della prestazione.

Avv. Andrea Galiffa