Il proprietario di un bene immobile potrebbe decidere di rinunciare alla proprietà immobiliare per varie motivazioni. Ad esempio perché
- non è in grado di pagari i tributi dell'immobile;
- l'immobile si trova lontano dalla propria abitazione e/o è difficilmente raggiungibile;
- i costi di manutenzione o condominiali sono molto alti;
- vi è timore che possa cagionare danni a terzi in quanto in rovina, ecc.
La rinuncia alla proprietà di un bene immobile, nel caso di un unico proprietario, comporta il passaggio del diritto in favore dello Stato, tuttavia bisogna indagare la causa in concreto del negozio per stabilirne la validità. A tal proposito è intervenuta una ordinanza del Tribunale di Genova n. 11634/2017 che ha dichiarato la nullità di un atto dismissivo della proprietà per illiceità della causa in quanto rispondente al solo fine egoistico di trasferire all’Erario tutti i costi necessari per il consolidamento, la manutenzione o la demolizione dell’immobile.
La legge non prevede espressamente che il proprietario di un immobile o di un terreno possa rinunciare alla sua proprietà tanto che, al riguardo, si sono distinte due orientamenti:
1) un orientamento negativo che respinge la possibilità di rinuncia abdicativa al diritto di proprietà sull'assunto di un vuoto legislativo che la disciplini espressamente essendovi soltanto previsioni specifiche riguardo a diritti reali minori quali enfiteusi ( ex art.963 cc) o la servitu’ (ex art.1070 cc.), configuranti delle rinunce traslative.
Inoltre, nell'ottica dei sostenitori della tesi negativa, l'ammissione della mentovata tipologia di rinuncia determinerebbe una situazione di incertezza giuridica in ordine allo stato degli immobili senza un proprietario e le previsioni di cui al combinato disposto degli artt.1350 e 2643 nn. 5 del codice civile, afferenti la forma ed la trascrizione degli atti dismissivi, sarebbero riferite alle sole ipotesi di rinuncia traslativa;
2) un orientamento favorevole, sposata dalla giurisprudenza prevalente, che accoglie tale forma di rinuncia in virtù del fatto che la proprietà è un diritto patrimoniale e, in quanto tale, è liberamente disponibile anche nella forma della rinuncia abdicativa.
In seguito alla rinuncia, dunque, il bene viene acquistato, a titolo originario, dallo Stato ai sensi dell’art.827 cc., a mente del quale : “I beni immobili che non sono di proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello stato.”
Tale acquisto non è di tipo traslativo, ma è una conseguenza prevista direttamente dalla legge.
In ogni caso, si rende necessaria la forma scritta e la trascrizione dell’atto dismissivo ex artt.1350 n.5 e 2643 n.5, del codice civile e ciò a differenza della rinuncia alla proprietà di un bene mobile pr la quale è sufficiente sil semplice abbandono del medesimo.
Si segnala una recente pronuncia del Tribunale di Venezia sez. I, 23/04/2024, il quale con la sentenza n.4569 ha rimesso la questione alle SS. UU.: "Va disposto il rinvio pregiudiziale degli atti alla Suprema Corte di Cassazione per la risoluzione della questione di diritto avente ad oggetto la compatibilità, con il nostro ordinamento, di un negozio giuridico unilaterale di rinuncia abdicativa, ossia di un negozio con cui il proprietario rinuncia unilateralmente all'immobile di sua proprietà, che così diventa di proprietà pubblica ex art. 827 c.c.".
Nell'ipotesi di comproprietà, la rinuncia determina l’espansione delle quote degli altri comproprietari in quanto la comunione è ricostruita in dottrina come il diritto sull’intero bene limitato dal concorrente diritto degli altri contitolari.
Si rammenta che ai sensi dell'art 1118, 2°comma c.c. il condomino non può rinunciare al suo diritto sulle parti comuni e ciò perché tale rinuncia andrebbe ad aggravare (di spese) gli altri condomini.
Avv. Alfredo Bonanni