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Risarcimento danni per mancato conseguimento della pensione.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 26620 depositata il 14 ottobre 2024 - Risarcimento del danno per mancato conseguimento del diritto alla pensione, subito dal lavoratore posto in mobilità sulla base di un'erronea indicazione della propria posizione contributiva.

Con l'interessantissima pronuncia in commento la Corte di Cassazione  ha riconosciuto in capo al lavoratore che sia stato collocato in mobilità sulla base di un'erronea indicazione della propria posizione contributiva da parte dell'Inps, un diritto risarcitorio nei confronti dell'ente previdenziale a fronte del mancato mancato conseguimento del diritto alla pensione.

Il titolo giuridico fondante il mentovato diritto risarcitorio avrebbe, secondo la Suprema Corte  natura contrattuale stante l'inadempimento, da parte dell'Istituto dell’obbligo legale gravante sugli enti pubblici, dotati di poteri di indagine e certificazione, di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall’art. 38 cost.).

Le dette prerogative risarcitorie, sempre secondo il pronunciamento degli Ermellini, spetterebbero al lavoratore, ancorché le informazioni erronee siano state fornite mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi non richiesti dall’interessato e inidonei a rivestire efficacia certificativa.

I fatti

Con sentenza del 6.9.2017 n. 2599, la Corte d’appello di Roma accoglieva parzialmente il gravame proposto da Caia nei confronti dell’Inps, avverso la sentenza del Tribunale di Civitavecchia che aveva accolto parzialmente la domanda proposta da quest’ultima.

Caia, premesso di aver richiesto il rilascio della dichiarazione di esposizione al rischio amianto all’Inail e di averlo ottenuto, sentendosi così indotta a risolvere il proprio rapporto lavorativo (stante la maturazione dei requisiti pensionistici grazie ai contributi figurativi accreditati per l’esposizione all’amianto), ma di essersi poi vista revocare il suddetto accredito contributivo da parte dello stesso istituto assicuratore, con conseguente rigetto della domanda di pensione da parte dell’Inps, aveva chiesto la declaratoria dell’illegittimità del comportamento dell’Inail e la condanna dell’Inps alla erogazione della pensione di anzianità spettante per 40 anni di contribuzione, tenuto conto dei benefici previdenziali per l’esposizione all’amianto, ovvero, in via subordinata, che fosse accertata la responsabilità dell’Inail, per averla indotta in errore circa la sussistenza dei requisiti previdenziali per il pensionamento, con condanna di quest’ultimo ente al risarcimento del danno derivante dalla privazione del diritto a pensione per un periodo di anni 6,5 e con un indennizzo, pari ad almeno € 100.000,00.

Il tribunale dichiarava cessata la materia del contendere sulla domanda principale, per l’intervenuta liquidazione della pensione in via di “sanatoria” da parte dell’Inps, e rigettava la domanda proposta in via subordinata da Caia di risarcimento del danno a carico dell’Inail perché la pensionata aveva omesso ogni allegazione e prova sul dolo e/o sulla colpa dell’Istituto assicurativo, quali presupposti per ottenere il diritto all’indennizzo, dovuto all’originario rilascio della certificazione positiva dell’esposizione all’amianto che l’aveva indotta a mettersi in pensione, certificazione che le era poi stata revocata a seguito di riesame, con conseguente perdita del diritto a pensione, inizialmente conseguito.

La Corte d’appello, per quanto ancora d’interesse, accoglieva parzialmente la domanda subordinata di risarcimento del danno a carico dell’Inail per il comportamento consistito nell’emissione della prima certificazione erronea, integrante inadempimento di natura contrattuale, pari alle retribuzioni non percepite dall’1.1.2010 al 28.2.2012 (che è il periodo non coperto dalla liquidazione della pensione in “sanatoria”), diminuite dell’importo dell’incentivo all’esodo che la ricorrente aveva ricevuto dalla datrice di lavoro, in attuazione dell’accordo sindacale dell’8.3.2005, quale erogazione fruita dall’appellante che trovava la sua esclusiva causa nella risoluzione del rapporto di lavoro, in vista dell’accesso alla pensione che poi le era stata revocata, per la revoca della certificazione di esposizione all’amianto.

Avverso tale sentenza, l’Inail ricorreva per cassazione, sulla base di due motivi, mentre Caia resisteva con controricorso; anche l’Inps si costituiva in giudizio con controricorso, limitandosi a rilevare che non era stato proposto ricorso avverso il capo della sentenza con il quale la Corte territoriale aveva respinto l’unica domanda spiegata contro l’Istituto previdenziale (ovvero quella con la quale si chiedeva di accertare il diritto a pensione di anzianità con decorrenza gennaio 2010) e, quindi, l’Inps si è limitato a dichiarare di non aver interesse a contraddire la ricorrente sulla domanda concernente il risarcimento spiegata nei confronti dell’Inail.

I Motivi posti a fondamento della decisione assunta dalla Suprema Corte

Con il primo motivo di ricorso, l’Inail deduceva il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 2043, 1227, 1176, 2729 c.c., in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché la Corte del merito aveva erroneamente ritenuto la responsabilità dell’Istituto assicurativo, per l’emissione della prima certificazione di esposizione all’amianto, che aveva indotto la ricorrente a optare per il trattamento pensionistico agevolato, senza considerare che tale attività di certificazione dell’esposizione all’amianto implicava una rilevante complessità degli accertamenti da svolgere, per l’impossibilità di accertare le reali condizioni di lavoro a distanza di molto tempo dall’accadere degli eventi, per cui vi era assenza del necessario coefficiente psicologico, quale elemento costitutivo della responsabilità, in termini di dolo o colpa; in effetti, secondo la difesa dell’istituto, l’errore nell’emissione della prima certificazione andava senz’altro considerato “scusabile”.

Con il secondo motivo di ricorso, l’Inail deduceva il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 13 comma 8 della legge n. 257/92 e dell’art. 100 c.p.c. (carenza di legittimazione passiva), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché il giudice del gravame non aveva ritenuto rilevante l’eccezione di difetto legittimazione passiva proposta dall’Ente assicurativo e, inoltre, non era stato riconosciuto che gli atti dell’Inail in materia, sono atti endo-procedimentali, privi di rilevanza esterna.

La Corte dichiarava infondato il primo motivo di ricorso richiamando un proprio precedente orientamento afferente un caso analogo riferito all'Inps, secondo il quale: “Nell’ipotesi in cui l’Inps abbia fornito al lavoratore una erronea indicazione della posizione contributiva e lo stesso sia stato collocato in mobilità sulla base di detto erroneo presupposto, l’ente previdenziale è tenuto a risarcire il danno sofferto dall’interessato per il mancato conseguimento del diritto a pensione, a titolo di responsabilità contrattuale, fondata sull’inadempimento dell’obbligo legale gravante sugli enti pubblici, dotati di poteri di indagine e certificazione, di non frustrare la fiducia di soggetti titolari di interessi al conseguimento di beni essenziali della vita (quali quelli garantiti dall’art. 38 cost.), ancorché le informazioni erronee siano state fornite mediante il rilascio di estratti-conto assicurativi non richiesti dall’interessato e inidonei a rivestire efficacia certificativa” (Cass. nn. 23050/17, 21454/13)

La Corte rilevava altresì che, nel caso di specie, la lavoratrice era legata all’Inail da un sottostante rapporto assicurativo che ne connotava e qualificava la relazione in termini di affidamento e mutua cooperazione, così che il danno ricevuto va oltre il neminem laedere, inquadrandosi in una vera e propria relazione giuridicamente qualificata tra parti legate da un vincolo obbligatorio, così da ingenerare una responsabilità da “contatto sociale”, responsabilità che si pone quale species del più ampio genus della responsabilità, ex art. 1218 c.c., con applicazione anche per tale regime, del criterio di riparto dell’onere della prova più favorevole per il creditore danneggiato, fermo restando che il debitore può sempre dimostrare che l’inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile.

Tale opinamento è d'altra parte conforme a quanto affermato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, che in sede di riparto di giurisdizione, ha in più occasioni ribadito che la responsabilità della pubblica amministrazione per il danno derivante dalla lesione dell’affidamento sulla correttezza dell’azione amministrativa – avente quale presupposto il mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sulla P.A. – ha natura contrattuale e va inquadrato nello schema della responsabilità “relazionale” (o “da contatto sociale qualificato”, idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell’art. 1173 c.c.) sia nel caso in cui nessun provvedimento amministrativo sia stato emanato, sia in caso di emanazione di un provvedimento lesivo, sia nell’ipotesi di emissione e successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato (come nella specie); ergo, la controversia relativa all’accertamento della responsabilità dell’amministrazione rientra – proprio in ragione dell’esistenza di un diritto soggettivo nascente da rapporto obbligatorio – nella giurisdizione del giudice ordinario (cfr. Cass. sez. un. nn. 1567/23, 8236/20).

I Giudici di legittimità nel caso in commento, hanno ritenuto di dover dare continuità all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite, tenendo conto che la natura contrattuale della responsabilità è tale in quanto nascente da un obbligo di legge di ricognizione-comunicazione all’interessato da parte dell’Inail (cfr. art. 47, comma 4 del DL n. 269/03, conv. con modificazioni dalla legge n. 326/03).

In questa ottica, l’attività di accertamento tecnico a cui è stato chiamato l’Inail, nel caso in commento, avrebbe richiesto una maggiore prudenza nel rilascio del certificato di esposizione ad amianto; in alternativa, sempre secondo la Corte, l’ente assicurativo avrebbe dovuto mettere al corrente la lavoratrice della possibile rivedibilità delle determinazioni tecniche alla luce di nuovi possibili accertamenti e di nuovi progressi scientifici in materia; nulla di tutto ciò è accaduto, né l’Istituto assicurativo ha, comunque, dimostrato che l’inadempimento ai propri obblighi di cooperazione e leale collaborazione sia dipesa da causa allo stesso ente non imputabile.

I giudici di legittimità, nel pronunciamento in commento, respingevano altresì l’assunto secondo il quale gli atti dell’Inail avrebbero una mera valenza endo-procedimentale nei confronti della lavoratrice; e ciò per la decisiva ragione che la certificazione dell’Inail ha un valore vincolante nella successiva decisione dell’Istituto previdenziale che eroga effettivamente la pensione, così da poter essere direttamente lesivi della sfera giuridica del destinatario della pensione (cfr. Cass. nn. 6264/11, 17977/10).

Il secondo motivo è stato giudicato infondato sulla base del pacifico orientamento della giurisprudenza apicale che ritiene che, in tema di benefici previdenziali per i lavoratori esposti all’amianto il legislatore abbia conferito pieno valore alla certificazione dell’Inail concernente, per ciascun lavoratore, il grado di esposizione e la sua durata, rilasciata sulla base degli atti di indirizzo del Ministero del lavoro, come mezzo di prova ai fini del beneficio stesso” (Cass. n. 6264/11, secondo Cass. n. 17977/10).

Orbene, nella presente vicenda, se è vero che riguardo alla domanda principale unico legittimato passivo era l’Inps, in quanto ente tenuto all’erogazione del trattamento pensionistico, è pur vero che riguardo alle domande subordinate svolte nei confronti dell’Inail che riguardano la lesione del diritto di Caia ad una corretta informazione da parte dell’Inail nel quale la stessa aveva riposto affidamento, non v’è dubbio che legittimato passivo è l’Inail, che tale informazione di legge aveva dato, su richiesta della ricorrente.

La Suprema Corte, pertanto, rigettava il ricorso.

Avv. Andrea Galiffa