(Cassazione civile, sez. I, ord., 22 novembre 2024, n. 30179)
Com’è noto, il dovere di mantenere la prole è espressamente sancito sia dalla Carta Costituzionale sia dal Codice civile e i genitori, indipendentemente dalle scelte inerenti il rapporto di coppia, sono tenuti a rispettarlo.
Infatti, nei contesti di crisi, nell’ambito dei giudizi di separazione e di divorzio, viene posto a carico del genitore non collocatario l’obbligo di corrispondere, in favore dell’altro genitore, una somma di denaro a titolo di contributo al mantenimento del figlio.
Per quanto riguarda, in particolare, il figlio maggiorenne, ai sensi dell’articolo 337 septies del Codice civile, può essere direttamente beneficiario, se non indipendente economicamente, di un assegno periodico a fronte di una richiesta in tal senso formulata o dal genitore con lui convivente ovvero da lui stesso.
In sostanza, laddove sussistano determinati presupposti, quali l’accertamento della condizione economica dei figli, il conseguimento effettivo di un livello di competenza e tecnica, l’impegno profuso nella ricerca di un lavoro e la complessiva condotta adottata a partire dal compimento del diciottesimo anno di età, l’obbligo dei genitori di mantenere la prole non cessa con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae sino a che i figli non abbiano raggiunto la propria indipendenza economica.
Ma se i figli maggiorenni si trasferiscono in un’altra città per motivi di lavoro e di studio sono tenuto/a al mantenimento?
Di recente, la Suprema Corte ha avuto modo di dare una risposta a tale quesito a fronte di una controversia insorta tra due coniugi avente ad oggetto anche la questione del contributo al mantenimento in favore delle figlie ormai maggiorenni, laureate e non più conviventi con la madre, genitore collocatario.
In particolare, in sede di modifica delle condizioni di divorzio, il padre, quale genitore non collocatario, chiedeva di essere esonerato dal versamento dell’assegno di mantenimento in favore delle due figlie in virtù del fatto che, ormai maggiorenni, esse si erano trasferite, per ragioni di studio, in un’altra città ivi trovando, viepiù, un’occupazione.
Ebbene, rigettando le istanze paterne i giudici di prime cure hanno chiarito che il conseguimento della laurea non ha trasformato la condizione di permanenza temporanea fuori sede delle due ragazze.
Al contrario, invece, i giudici di appello, dopo aver ricordato che l’assenza di convivenza della madre con le figlie avrebbe determinato il venir meno della legittimazione della donna ad ottenere iure proprio il contributo per il mantenimento delle giovani, hanno ritenuto decisivo il riferimento alla loro età, ai loro nuovi percorsi di vita conformi agli studi, nonché alle esperienze lavorative e professionali svolte.
Alla luce di tali elementi, i giudici di secondo grado hanno ritenuto che la residenza lontano dalla casa della madre, anche nella prospettiva di ottenere nuove esperienze lavorative qualificanti in linea con le ambizioni proprie, del contesto socio- economico in cui sono inserite, non possa più considerarsi temporanea: in altre parole, la capacità lavorativa acquisita dalle ragazze è stata valutata come elemento funzionale a dimostrare la cessazione della convivenza con la madre, con il conseguente venir meno della legittimazione iure proprio della donna a richiedere il versamento dell’assegno da parte dell’ex marito.
Sulla scorta di tali considerazioni, i giudici di secondo grado hanno accolto la richiesta del padre esonerandolo dal versamento del contributo di mantenimento in favore delle figlie.
Tuttavia, se in grado di appello si è ritenuto dirimente il concetto della stabile convivenza delle ragazze presso la casa materna ai fini del contributo in esame, la Corte di cassazione ha, invece, elaborato nuove considerazioni giungendo, all’esito, ad una diversa conclusione.
In particolare, nella visione degli Ermellini, la legittimazione iure proprio del genitore a richiedere l’assegno di mantenimento del figlio maggiorenne, non ancora economicamente autosufficiente, che non abbia formulato autonoma richiesta giudiziale, sussiste anche quando esso si allontani per motivi di studio dalla casa genitoriale qualora detto luogo rimanga, in concreto, un punto di riferimento stabile al quale fare sistematico ritorno e sempre che il predetto genitore sia quello che, pur in assenza di coabitazione abituale o prevalente, provveda materialmente alle esigenze del figlio anticipando ogni esborso necessario per il suo sostentamento presso la sede di studio.
Da ciò ne consegue, secondo la Corte, l’importanza di valutare non tanto la prevalenza temporale dell’effettiva presenza di ciascuna delle figlie presso l’abitazione materna quanto, piuttosto, se tale casa costituisca un punto di riferimento stabile e se ad essa le giovani facciano sistematico ritorno e di verificare se la madre costituisca un punto di riferimento per le figlie e per il loro corrente sostentamento. (Cfr. Cass. Civ., ord., 22 novembre 2024, n. 30179).
In definitiva, la Suprema Corte, con la sentenza in commento, ha chiarito che, rispetto a figli maggiorenni, ancorché lontani dal genitore collocatario per esigenze di studio o di lavoro, non viene meno il diritto dell’ex coniuge al contributo di mantenimento qualora la casa familiare continui a costituire un punto di riferimento stabile per i figli essendo, all’uopo, sufficiente che il beneficiario sia la figura genitoriale che provvede materialmente alle esigenze e al sostentamento degli stessi.
In tal senso, dunque, di fondamentale importanza è l’analisi di tutte le circostanze, ivi compresa l’eventuale situazione lavorativa del figlio maggiorenne, allo scopo di valutare, tra gli altri aspetti, l’effettiva indipendenza economica ovvero la necessità di un sostegno periodico da parte dei genitori.
Avv. Miriana Martoni